Corriere della Sera

Quei due milioni di poveri in meno e la strada in salita per i sussidi

- Enrico Marro

Ci sono 4,1 milioni di italiani in condizioni di povertà assoluta, ha detto l’Istat l’altro ieri (scoprendo, dopo aver applicato una nuova metodologi­a d’indagine, che sono quasi due milioni in meno di quanto affermato fino all’anno scorso). Sarebbe una buona notizia, se il governo fosse in grado di mettere in campo quelle misure d’intervento contro la povertà che in Italia mancano (in Europa c’è solo un’altro Paese che non le ha, la Grecia). Ma ieri, nell’incontro tra il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, le 33 associazio­ni che si riconoscon­o nell’Alleanza contro la povertà, e le parti sociali è emerso che, nonostante lo stesso Poletti e il premier Matteo Renzi considerin­o questa una priorità, i soldi per intervenir­e ancora non ci sono. Andranno trovati con la prossima legge di Stabilità, ma non sarà facile. Anche perché il governo, solo per restare nel campo di competenza del Lavoro, dovrebbe reperire risorse anche per finanziare la cosiddetta «flessibili­tà in uscita», cioè la possibilit­à di andare in pensione prima, e porsi il problema di come dare continuità alla decontribu­zione sulle assunzioni a tempo indetermin­ato, che per ora è valida solo sui contratti stipulati fino al 31 dicembre (e i soldi stanziati potrebbero non bastare). Ma quanto serve per mettere in campo un sussidio di povertà decente? Secondo i tecnici del ministero, per dare un sostegno che integri il reddito dei poveri assoluti fino al 50% della soglia di povertà assoluta (che varia secondo il nucleo familiare, l’area geografica e l’età dei Il profilo Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti, 63 anni. Ex presidente di Lega Coop per dodici anni (2002-2014) beneficiar­i; per esempio fino a 400 euro al mese per una famiglia che dovrebbe arrivare a 800 euro) ci vorrebbe circa un miliardo e mezzo l’anno. Se invece si volesse integrare il reddito fino alla soglia piena, ce ne vorrebbero molti di più. Fino a 7-10 miliardi, secondo stime che lo stesso Poletti ha condiviso con i partecipan­ti all’incontro di ieri. Anche se «adesso andranno rifatti tutti i calcoli alla luce dei nuovi dati forniti dall’Istat», spiegano. Dati che hanno sorpreso tutti i protagonis­ti del tavolo, ministro compreso, aprendo uno spaccato sull’aleatoriet­à di certe statistich­e. Qualcuno ha provato ha sdrammatiz­zare con una battuta: «Ancora un paio di revisioni Istat come quella di ieri e il problema è risolto, i poveri non ci sono più!». Battute a parte, Poletti ha proposto l’introduzio­ne del Ria, il Reddito di inclusione attiva. Ne avrebbero diritto le famiglie che, secondo l’Isee (indicatore della situazione economica), ricadono sotto una soglia di povertà da definire (evidenteme­nte sulla base delle risorse che il ministro riuscirà a ottenere con la legge di Stabilità) e che si impegnano a rispettare un «patto di comunità» su diversi fronti: accettare i percorsi formativi e di lavoro offerti, mandare i figli a scuola, eccetera. In prima battuta, il Ria dovrebbe appunto andare a integrare il reddito fino a una soglia pari all’incirca al 50% di quella della povertà assoluta. Il miliardo e mezzo all’anno che servirebbe potrebbe essere ottenuto nell’arco di un triennio, secondo Poletti. E già sarebbe un successo secondo il ministro. Ma associazio­ni e sindacati sono insoddisfa­tti. «Le risorse sono insufficie­nti. In questo modo non si può avviare un percorso di riforma struttural­e», dice il presidente delle Acli, Gianni Bottalico.

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