Quando la musica classica nasconde gli eccessi dietro lo spartito
Dopo «Trasparent», Amazon si presenta sul mercato televisivo con «Mozart in the Jungle» (Sky Atlantic e Sky Arte, martedì, ore 21,10). La serie è ispirata a «Mozart in the Jungle: Sex, Drugs, and Classical Music», scritto dall’oboista Blair Tindall nel 2005, che racconta la sua carriera professionale a New York, durante la quale ha preso parte a complessi musicali di alto profilo, tra cui la New York Philharmonic e le orchestre di numerosi spettacoli di Broadway.
Il lavoro è stato adattato per la tv da Roman Coppola ( figlio di Francis Ford Coppola) e Jason Schwartzman (nipote di Francis Ford Coppola).
La storia ruota attorno al personaggio di Rodrigo (Gael Garcia Bernal), appunto, vagamente ispirato al maestro venezuelano Gustavo Dudamel.
Chiamato a sostituire Thomas ( Malcolm McDowell), il vecchio direttore della New York Symphony Orchestra, il talentuoso Rodrigo decide di rinnovare i suoi musicisti. È qui che appare la giovane Hailey (Lola Kirke), un’oboista squattrinata pronta a tutto pur di suonare nella leggendaria Sinfonica.
Come suggerisce il titolo, la musica classica non è abitata solo da angeli e da virtuosi (nel doppio senso della parola): fra gli spartiti fa spesso e volentieri capolino l’eccesso.
La misura di ogni puntata (30’) fa pensare più alla struttura della sit-com che a una serie tradizionale: mancano tuttavia le battute brucianti, i dialoghi ispirati, i colpi di scena a ripetizione. «Mozart in the Jungle» resta una via di mezzo, sospesa tra l’irritualità della storia e la prevedibilità della trama.
Nel nome dei cambiamenti, nella sublimazione della musica classica ogni passione è ammessa, ogni caduta nel grottesco è consentita, ogni rottura del luogo comune è sollecitata, pur di partecipare a sinfonie per un nuovo mondo.
Eppure qualche stonatura è sempre in agguato: nel racconto, più che nell’orchestra.