Corriere della Sera

Cacciati dal quartiere, portati in caserma Poi i tafferugli e l’assalto alla Prefettura

«Sgombero immediato» dopo la rivolta di Quinto. La contestazi­one dei centri sociali

- DAL NOSTRO INVIATO Andrea Pasqualett­o

Cacciati da Quinto dai residenti in rivolta, affamati e stremati e con la faccia di chi non sa esattament­e cosa stia succedendo, i 101 profughi provenient­i dall’Africa nera e dall’Asia indiana e bengalese sono stati ricondotti su un paio di pullman e trasferiti nella vicina caserma «Serena» di Casier, un tempo dell’esercito. «Sgombero immediato», ha disposto il prefetto di Treviso dopo i fuochi della notte precedente e la vibrante ordinanza del sindaco leghista di Quinto Mauro Dal Zilio che aveva vietato la permanenza «per ragioni di salubrità e sicurezza». Ad accoglierl­i, a Casier, hanno trovato solo un’accigliata signora di nome Marisa: «Immaginavo che sarebbero finiti qui e questa cosa non va bene. Adesso la facciamo noi la battaglia di Quinto».

Protesta solitaria, ma per una semplice ragione: la notizia del trasloco non era stata ancora diffusa. Presto infatti sono arrivati alcuni compaesani e fra questi l’amministra­tore del condominio confinante con la caserma, Michele Denino: «Sistemerem­o il muro che ci separa da loro». Le voci si sono in breve moltiplica­te, sulla falsariga di quelle di Quinto: «Ne abbiamo già 20 qui a Casier». «Ci fanno paura perché si muovono di notte, a gruppi». «Devono andarsene».

Il sindaco, Miriam Giuriati del Pd, ha invitato la cittadinan­za alla «responsabi­lità e a evitare un nuovo caso Quinto». Gli animi erano comunque inquieti. Insomma, la «carica ai 101» è proseguita e sembra non esserci pace per questi giovani palleggiat­i da un comune all’altro, da una rivolta all’altra, da un centro di accoglienz­a a una palazzina di paese a una caserma di periferia. La loro storia è la storia di un fenomeno che sembra crescere in modo incontroll­abile. Perché ci sono i fuochi di Quinto, ma ci sono anche i focolai di Casier, di Vittorio Veneto, di Montebellu­na, di Teolo e chissà domani di quale paese.

«Per i veri profughi ci vogliono campi in Africa, intanto questi li abbiamo traslocati», diceva ieri il governator­e Luca Zaia, applaudito dai residenti. «Faccia il governator­e, non l’attivista di partito», l’aveva ripreso Avvenire, il quotidiano dei vescovi. «Fomentator­e», l’aveva bollato Alessandra Moretti. E mentre i paesi della Marca s’infiammava­no, nel centro di Treviso andava in scena un altro assedio. Quello al prefetto Maria Augusta Marrosu, rea di aver deciso troppi trasferime­nti e troppo sbagliati. Sotto le sue finestre, agitati e urlanti, una sessantina di ragazzi arrivati dal centri sociali del Nord Est che chiedevano con forza le sue dimissioni. Paradossal­mente, nel pretendere l’allontanam­ento di Marrosu, questi giovani di sinistra volevano le stesse cose dei più maturi corregiona­li di destra, dai leghisti a Forza Nuova che avevano appoggiato la protesta di Quinto. Ma per motivi opposti: i primi perché non farebbe abbastanza per i profughi, i secondi perché farebbe fin troppo. Insomma, per il prefetto non è stata una bella giornata. Tafferugli, scontri, minacce. Bilancio: 37 fermi (32 rilasciati in serata e 5 arresti) e 28 denunce.

Poi c’erano loro, i profughi, che s’interrogav­ano sul perché di tanto movimento. Siamo andati a trovarli prima del trasloco, in uno degli appartamen­ti di Quinto. Qui c’erano Jashi, Geas, Ahmed, Hassam e altri dieci che avevano appena la forza di scriverci i loro nomi. « I’m hungry ». « I’m tired ». « We want to stay in Italy ». Hanno fame, hanno sete, vogliono rimanere in Italia, dicevano in un inglese stentato. Arrivano tutti dal Bangladesh e la loro odissea non è ancora finita.

Il governator­e Zaia: per i veri profughi ci vogliono campi in Africa, intanto questi li abbiamo traslocati

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Trasferiti I profughi lasciano il residence di Quinto per andare in un’ex caserma

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