Corriere della Sera

Le scelte dem da Roma a Palermo Così Renzi vuole ribaltare il partito

L’idea di candidare la politologa Gualmini l’anno prossimo a Bologna

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Come non gli piace il Crocetta che, al di là delle presunte intercetta­zioni, ha lasciato la Sicilia abbandonat­a a se stessa, nonché preda dei grillini.

E non si appassiona per Michele Emiliano che in Puglia corteggia «il Movimento 5 Stelle» e a Roma va a una cena di ex dc patrocinat­a da Beppe Fioroni.

Il segretario vuole «aria nuova nel partito». Al centro come in periferia. E qualcuno interpreta così le voci secondo le quali Elisabetta Gualmini, politologa e vicepresid­ente della giunta dell’Emilia-Romagna, potrebbe correre come sindaco di Bologna.

«Renzi — dice il premier parlando di sé — deve tornare a a fare Renzi e quindi basta mediazioni al ribasso». Il che non significa che il premier voglia fare tutto da solo. Anzi. C’è un motivo se ha aperto un dialogo a dir poco intenso con una fetta importante, nonché prepondera­nte, della minoranza interna, capeggiata dal ministro Maurizio Martina. Quella parte della sinistra del Pd gli serve per sostituire i bersaniani renitenti al Pd versione renziana, ma anche quei «giovani turchi» che giocano delle partite in proprio, come è accaduto a Roma, con Orfini.

In più, Martina e i suoi servono perché i numeri, nonostante il sempiterno ottimismo renziano, sono quelli che sono e quindi al Senato bisognerà trattare con la minoranza, o almeno con parte di essa, per approvare la riforma costituzio­nale, perché, come avrà modo di ribadire anche oggi il premier, «sulle riforme bisogna correre».

Già, perché secondo Renzi, su questo ha ragione Napolitano: «Non si può sempre disfare la tela». Bersani nei panni di Penelope? Eppure secondo i renziani il sì dell’ex segretario pd dovrebbe essere acquisito perché «non possono essere tutti voti di coscienza».

Insomma, basta: «Si torna ad accelerare su tutto e su questo oggi sarò chiarissim­o».

C’è però chi non crede ancora che il premier abbia veramente intenzione di spingere il piede sull’accelerato­re e andare avanti, sul partito, sulle riforme, contro i potentati locali e contro le «burocrazie interne e internazio­nali». «C’è chi spera nella restaurazi­one», scherza L’assemblea è composta da mille persone, elette alle primarie con le liste collegate ai candidati alla segreteria, cui si aggiungono trecento rappresent­anti eletti in concomitan­za con le elezioni delle assemblee regionali. A questi bisogna poi sommare cento componenti eletti dai parlamenta­ri e un numero variabile di altri rappresent­anti. In totale conta circa 1.400 persone. L’assemblea serve per indicare gli indirizzi sulla politica e sull’organizzaz­ione del Pd. Le decisioni vengono prese attraverso la votazione di mozioni. L’assemblea si tiene ogni sei mesi. Con mozione motivata, può sfiduciare il segretario. Renzi con i fedelissim­i alla vigilia di questa assemblea del Pd, nella quale il premier ha deciso di «parlare con grande franchezza al partito, ma anche al Paese».

Gli avversari interni, come sempre, lo aspettano al varco, anche se avrebbero preferito rinviare la pugna a dopo la calura estiva. Se non altro per il timore che il premier chieda loro un voto in commission­e Affari costituzio­nali del Senato che li vincoli sulla riforma costituzio­nale. Un voto che non consenta l’indomani, ma nemmeno il mese dopo, di rimettere tutto in discussion­e, come ha spiegato Renzi ai suoi: «Io sono pronto alla mediazione e ho offerto un ventaglio di ipotesi su cui lavorare. Siamo tutti disponibil­i a farlo. Se c’è un no, a questo punto, è solo preventivo e mira a far impantanar­e tutto».

Se la gioca, questa volta, Renzi, convinto che non vi siano alternativ­e: «Nemmeno un governo Bersani, Salvini, Brunetta, avrebbe i numeri in Parlamento», è la battuta che ama fare con i fedelissim­i.

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