SE IL PARTITO DEI TASSISTI VINCE ANCHE A NEW YORK
Tempi difficili per Uber anche a New York, una delle città che ha risposto con più entusiasmo alla diffusione del nuovo servizio taxi. Troppo entusiasmo, secondo il sindaco Bill de Blasio che ha deciso di mettere un tetto alla proliferazione delle vetture nere, disponibili in cinque versioni, dalle utilitarie UberX fino alle limousine Uberlux. Ormai sono oltre 26 mila, guidate da autisti con diversi gradi di esperienza, quasi tutte concentrate nelle avenue di Manhattan. Secondo l’amministrazione municipale formano una massa insostenibile per la già congestionata circolazione della Grande Mela. Da un’indagine del Dipartimento dei Trasporti risulta che dal 2010 al 2014 la velocità del traffico sia diminuita da 14,4 a 13,6 chilometri all’ora. E dal luglio 2014 a oggi si sono aggiunte circa 2.000 macchine Uber al mese. Giovedì prossimo il consiglio comunale deciderà che da qui fino all’agosto 2016 potranno ottenere la licenza solo altri 200 veicoli. L’iniziativa del sindaco ha suscitato la reazione furibonda dalla società fondata a San Francisco nel 2010. Sull’app Uber si può aprire una finestrella che accusa de Blasio di provocare la perdita di 10 mila posti di lavoro e di minare l’efficienza della prestazione offerta ai newyorkesi. I tassisti tradizionali, invece, sono soddisfatti. A differenza dei loro colleghi parigini non hanno avuto bisogno di venire alle mani. I più maligni osservano che è bastato finanziare la campagna elettorale del sindaco. In realtà lo scontro era inevitabile. Il modello di Uber è quello di un’espansione senza fine: sempre più conducenti significa, da un certo punto in poi, costi unitari sempre più bassi a fronte di ricavi sicuri, specie nelle metropoli. A New York non viene posto un problema di concorrenza sleale, come invece capita a Londra, Madrid, Parigi e Milano. Ma la conclusione è la stessa: Uber ha esagerato.