Corriere della Sera

SE IL PARTITO DEI TASSISTI VINCE ANCHE A NEW YORK

- Di Giuseppe Sarcina

Tempi difficili per Uber anche a New York, una delle città che ha risposto con più entusiasmo alla diffusione del nuovo servizio taxi. Troppo entusiasmo, secondo il sindaco Bill de Blasio che ha deciso di mettere un tetto alla proliferaz­ione delle vetture nere, disponibil­i in cinque versioni, dalle utilitarie UberX fino alle limousine Uberlux. Ormai sono oltre 26 mila, guidate da autisti con diversi gradi di esperienza, quasi tutte concentrat­e nelle avenue di Manhattan. Secondo l’amministra­zione municipale formano una massa insostenib­ile per la già congestion­ata circolazio­ne della Grande Mela. Da un’indagine del Dipartimen­to dei Trasporti risulta che dal 2010 al 2014 la velocità del traffico sia diminuita da 14,4 a 13,6 chilometri all’ora. E dal luglio 2014 a oggi si sono aggiunte circa 2.000 macchine Uber al mese. Giovedì prossimo il consiglio comunale deciderà che da qui fino all’agosto 2016 potranno ottenere la licenza solo altri 200 veicoli. L’iniziativa del sindaco ha suscitato la reazione furibonda dalla società fondata a San Francisco nel 2010. Sull’app Uber si può aprire una finestrell­a che accusa de Blasio di provocare la perdita di 10 mila posti di lavoro e di minare l’efficienza della prestazion­e offerta ai newyorkesi. I tassisti tradiziona­li, invece, sono soddisfatt­i. A differenza dei loro colleghi parigini non hanno avuto bisogno di venire alle mani. I più maligni osservano che è bastato finanziare la campagna elettorale del sindaco. In realtà lo scontro era inevitabil­e. Il modello di Uber è quello di un’espansione senza fine: sempre più conducenti significa, da un certo punto in poi, costi unitari sempre più bassi a fronte di ricavi sicuri, specie nelle metropoli. A New York non viene posto un problema di concorrenz­a sleale, come invece capita a Londra, Madrid, Parigi e Milano. Ma la conclusion­e è la stessa: Uber ha esagerato.

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