Il baule di Hemingway e gli altri Nasce il museo del viaggio
La collezione storica di Louis Vuitton. Visitabile da settembre
«Imballiamo e facciamo viaggiare strumenti musicali, gioielli, abiti, qualsiasi cosa, da sempre. mi occupo di proteggere un violino stradivari, ma anche una chitarra elettrica: torno adesso dal Giappone, dove un cliente vuole che gli confezioni una custodia adeguata per una Fender appartenuta a Jimi Hendrix». Patrick-louis vuitton, responsabile degli ordini speciali, su misura, è l’ultimo discendente a lavorare nell’azienda di famiglia. con notevole understatement Patrick -Louis usa il termine «imballare», e ricorda così la storia del fondatore.
Nel 1835, figlio di un falegname e orfano di madre, il quattordicenne Louis Vuitton lascia il villaggio di Anchay nelle montagne dello Jura, per raggiungere camminando — oltre 400 chilometri — Parigi. Ci metterà due anni. Arrivato nella capitale, trova lavoro come apprendista presso il signor Maréchal, che si occupa di imballaggi e bauli. È l’inizio di una passione che lo porterà nel 1854 a mettersi in proprio e a fondare un marchio leggendario nella storia del lusso e della moda.
Nel 1859 Louis Vuitton si trasferisce ad Asnières-sur-Seine, alle porte di Parigi, per fondare la casa di famiglia e aprire laboratori più grandi, che sono in funzione ancora oggi: vi lavorano 170 artigiani che producono le borse più importanti, per le sfilate, e le valigie e i bauli speciali su ordinazione curati appunto da Patrick-Louis Vuitton. Lo incontriamo nella magnifica villa che Louis Vuitton fece costruire per stare vicino ai suoi dipendenti, e che nel 1900 venne rinnovata in un magnifico stile art nouveau. Modi gentili e compassati, pipa in bocca, davanti al camino in ceramica Patrick-Louis Vuitton racconta la sfida di creare «bauli fedeli allo spirito originario, e cioè funzionali. Da metà Ottocento a oggi l’idea di fondo non è cambiata: Louis Vuitton significa materiali di avanguardia, leggeri e solidi, a partire dal pioppo che arrivava qui con le chiatte sulla Senna, fino al kevlar. Il baule deve essere resistente e facilmente trasportabile, confezionato con la maggiore cura possibile e con la nostra tipica ossessione per il dettaglio. Alla fine non può che essere anche bello». In questi giorni ad Asnières, nei locali vicini agli atelier, ha aperto su 700 metri quadrati la Galèrie, un museo che ripercorre tutta la storia della maison, rivisitata dalla curatrice inglese di origine australiana Judith Clark. Che non si è affidata a un ordine cronologico ma ha preferito assemblare dei piani, come nel gioco «Pateki» inventato da Louis Vuitton nel 1932. I temi sono la visione globale, la relazione con il cliente, la natura, l’avanguardia e il celebre Monogram, il logo disegnato nel 1896 da Georges Vuitton in omaggio al padre, con le iniziali «LV».
Duecentomila documenti, 23 mila oggetti — tra cui valigie di principi e Maharaja — sono custoditi ad Asnières. Una parte sono in mostra — su appuntamento — alla Galerie. Nel 1897 Georges Vuitton asseconda il crescente interesse per i viaggi in automobile, e presenta un prototipo di baule da auto da personalizzare poi secondo le richieste delle star del momento. Fred Astaire chiederà, per la sua Rolls Royce, un baule pensato per contenere tuba, smoking, guanti, bastone, sciarpa da sera e set da picnic «tea-for-two». Nel 1924 i laboratori di Asnières producono le valigie per le grandi sped iz i o n i i n a u tomobile organizzate da Citroën, la Crociera Nera attraverso l’Africa e la Crociera Gialla dal Mediterraneo al Mar della Cina.
Negli anni Venti Ernest Hemingway anche espresse il desiderio di portare con sé i libri più cari e la macchina per scrivere: nel maggio 1927 GastonLouis Vuitton gli consegnò «The library trunk», un baule pieno di cassetti perfetto per contenere volumi e la Underwood. Dopo varie avventure il baule è riapparso nelle cantine dell’Hotel Ritz, con il manoscritto perduto di «Festa mobile», pubblicato postumo nel 1964.
Nel 1987 la maison Louis Vuitton si dedicò a esaudire i desideri del grande direttore d’orchestra Pierre Boulez, che voleva avere sempre con sé, in una valigetta di coccodrillo nero, un leggio, gli spartiti, le audiocassette con le sue registrazioni personali, un metronomo elettronico, dei bloc n ot e s co n matite, penne e gonne in quantità e — segno di quei tempi — un Walkman della Sony.
Una parte importante del museo è riservata a GastonLouis, figlio maggiore di Georges, terza generazione della famiglia e collezionista: è lui a conservare migliaia di pagine di documenti, modelli, numeri di serie di serrature in modo da potere rifare le chiavi di qualsiasi baule prodotto nei laboratori di Asnières.
Un mondo tra passato e futuro, con i contributi degli artisti Yayoi Kusama,Takashi Murakami,Stephen Sprouse, che sarà possibile visitare, su appuntamento, dal prossimo settembre.