Corriere della Sera

Il baule di Hemingway e gli altri Nasce il museo del viaggio

La collezione storica di Louis Vuitton. Visitabile da settembre

- Stefano Montefiori

«Imballiamo e facciamo viaggiare strumenti musicali, gioielli, abiti, qualsiasi cosa, da sempre. mi occupo di proteggere un violino stradivari, ma anche una chitarra elettrica: torno adesso dal Giappone, dove un cliente vuole che gli confezioni una custodia adeguata per una Fender appartenut­a a Jimi Hendrix». Patrick-louis vuitton, responsabi­le degli ordini speciali, su misura, è l’ultimo discendent­e a lavorare nell’azienda di famiglia. con notevole understate­ment Patrick -Louis usa il termine «imballare», e ricorda così la storia del fondatore.

Nel 1835, figlio di un falegname e orfano di madre, il quattordic­enne Louis Vuitton lascia il villaggio di Anchay nelle montagne dello Jura, per raggiunger­e camminando — oltre 400 chilometri — Parigi. Ci metterà due anni. Arrivato nella capitale, trova lavoro come apprendist­a presso il signor Maréchal, che si occupa di imballaggi e bauli. È l’inizio di una passione che lo porterà nel 1854 a mettersi in proprio e a fondare un marchio leggendari­o nella storia del lusso e della moda.

Nel 1859 Louis Vuitton si trasferisc­e ad Asnières-sur-Seine, alle porte di Parigi, per fondare la casa di famiglia e aprire laboratori più grandi, che sono in funzione ancora oggi: vi lavorano 170 artigiani che producono le borse più importanti, per le sfilate, e le valigie e i bauli speciali su ordinazion­e curati appunto da Patrick-Louis Vuitton. Lo incontriam­o nella magnifica villa che Louis Vuitton fece costruire per stare vicino ai suoi dipendenti, e che nel 1900 venne rinnovata in un magnifico stile art nouveau. Modi gentili e compassati, pipa in bocca, davanti al camino in ceramica Patrick-Louis Vuitton racconta la sfida di creare «bauli fedeli allo spirito originario, e cioè funzionali. Da metà Ottocento a oggi l’idea di fondo non è cambiata: Louis Vuitton significa materiali di avanguardi­a, leggeri e solidi, a partire dal pioppo che arrivava qui con le chiatte sulla Senna, fino al kevlar. Il baule deve essere resistente e facilmente trasportab­ile, confeziona­to con la maggiore cura possibile e con la nostra tipica ossessione per il dettaglio. Alla fine non può che essere anche bello». In questi giorni ad Asnières, nei locali vicini agli atelier, ha aperto su 700 metri quadrati la Galèrie, un museo che ripercorre tutta la storia della maison, rivisitata dalla curatrice inglese di origine australian­a Judith Clark. Che non si è affidata a un ordine cronologic­o ma ha preferito assemblare dei piani, come nel gioco «Pateki» inventato da Louis Vuitton nel 1932. I temi sono la visione globale, la relazione con il cliente, la natura, l’avanguardi­a e il celebre Monogram, il logo disegnato nel 1896 da Georges Vuitton in omaggio al padre, con le iniziali «LV».

Duecentomi­la documenti, 23 mila oggetti — tra cui valigie di principi e Maharaja — sono custoditi ad Asnières. Una parte sono in mostra — su appuntamen­to — alla Galerie. Nel 1897 Georges Vuitton asseconda il crescente interesse per i viaggi in automobile, e presenta un prototipo di baule da auto da personaliz­zare poi secondo le richieste delle star del momento. Fred Astaire chiederà, per la sua Rolls Royce, un baule pensato per contenere tuba, smoking, guanti, bastone, sciarpa da sera e set da picnic «tea-for-two». Nel 1924 i laboratori di Asnières producono le valigie per le grandi sped iz i o n i i n a u tomobile organizzat­e da Citroën, la Crociera Nera attraverso l’Africa e la Crociera Gialla dal Mediterran­eo al Mar della Cina.

Negli anni Venti Ernest Hemingway anche espresse il desiderio di portare con sé i libri più cari e la macchina per scrivere: nel maggio 1927 GastonLoui­s Vuitton gli consegnò «The library trunk», un baule pieno di cassetti perfetto per contenere volumi e la Underwood. Dopo varie avventure il baule è riapparso nelle cantine dell’Hotel Ritz, con il manoscritt­o perduto di «Festa mobile», pubblicato postumo nel 1964.

Nel 1987 la maison Louis Vuitton si dedicò a esaudire i desideri del grande direttore d’orchestra Pierre Boulez, che voleva avere sempre con sé, in una valigetta di coccodrill­o nero, un leggio, gli spartiti, le audiocasse­tte con le sue registrazi­oni personali, un metronomo elettronic­o, dei bloc n ot e s co n matite, penne e gonne in quantità e — segno di quei tempi — un Walkman della Sony.

Una parte importante del museo è riservata a GastonLoui­s, figlio maggiore di Georges, terza generazion­e della famiglia e collezioni­sta: è lui a conservare migliaia di pagine di documenti, modelli, numeri di serie di serrature in modo da potere rifare le chiavi di qualsiasi baule prodotto nei laboratori di Asnières.

Un mondo tra passato e futuro, con i contributi degli artisti Yayoi Kusama,Takashi Murakami,Stephen Sprouse, che sarà possibile visitare, su appuntamen­to, dal prossimo settembre.

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 ??  ?? Il «library trunk», che Louis Vuitton fece per Ernest Hemingway, baule pieno di cassetti per contenere i suoi libri e la macchina da scrivere Underwood. Qui sopra, uno scorcio della collezione storica LV
Il «library trunk», che Louis Vuitton fece per Ernest Hemingway, baule pieno di cassetti per contenere i suoi libri e la macchina da scrivere Underwood. Qui sopra, uno scorcio della collezione storica LV
 ??  ?? Museo Patrick-Louis Vuitton, discendent­e del fondatore del gruppo del lusso, con la curatrice del «museo del viaggio», Judith Clark, inglese di origine australian­a
Museo Patrick-Louis Vuitton, discendent­e del fondatore del gruppo del lusso, con la curatrice del «museo del viaggio», Judith Clark, inglese di origine australian­a

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