Corriere della Sera

Le email sono diventate più corte. E inutili

- Di Costanza Rizzacasa d’Orsogna

uand’è stata l’ultima volta che non hai risposto a monosillab­i a un’email? Che ne hai scritte per piacere? Una società di Palo Alto rivela come oggi inviamo e riceviamo in media 122 mail di lavoro al giorno (34 più 88). Passiamo, a smaltirle, quasi un terzo dell’orario, ne siamo sopraffatt­i. C’è perfino una sindrome, email anxiety disorder, di chi non riesce a prender sonno se non ha 0 email non lette. «Hillary Clinton», punge il New York Times, «che ne ha cancellate più di 31 mila, sarebbe d’accordo». Abbiamo imparato ad ignorare messaggi per noi irrilevant­i. Anni fa sarebbe stato cafonissim­o, oggi è prassi: il silenzio è una risposta. Perché l’email oggi è un fastidio. Tirannia, l’ha definita lo scrittore John Freeman. Epilogo più triste per una tra le grandi invenzioni dell’era moderna. Di quel Ray Tomlinson che nel 1971 usò una @ e cambiò per sempre il modo di comunicare. Vent’anni e spicci dopo — il cellulare non ancora ubiquo, gli sms inesistent­i, le interurban­e care — la corrispond­enza intima via email viveva l’età d’oro. Migliaia di byte con cui aggiornavi amici e familiari anche da un continente all’altro, e rileggendo­vi scorrevi la tua vita — mentre oggi, che pure postiamo a cinquemila, abbiamo perso la capacità di raccontarc­i, e accorciare distanze non è più l’obiettivo. Quando riceverne era gioia, a volte amore. Quando, in un film che non era ancora il nome d’un programma della De Filippi, Meg Ryan si apriva a Tom Hanks, e suonava così vero perché era quasi tutto vero. «Aspetto che il computer si colleghi e trattengo il respiro finché non sento quelle paroline magiche. Ho posta. Da te». O come avrebbe detto C.S. Lewis, scriviamo email per sapere di non esser soli. C’era posta per te.

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