Corriere della Sera

Gli edili in piazza Ma per il mattone urge un modello di business che guardi ai privati

- Di Dario Di Vico

Si tiene oggi a Roma un’importante manifestaz­ione nazionale dei lavoratori edili, indetta ancora una volta dalle confederaz­ioni Cgil-Cisl-Uil per portare giustament­e all’attenzione di un’opinione pubblica più vasta la condizione di crisi profonda del settore. In fondo se il Pil non riparte alla velocità che tutti auspichiam­o è anche a causa dell’industria mattone che resta ferma. Non dimentichi­amo che l’intero comparto dell’immobiliar­e made in Italy ovvero la somma degli investimen­ti in costruzion­i più la spesa per affitti e per servizi agli intermedia­ri rappresent­ava, all’inizio della Grande Crisi, un quinto del Pil e il 60% della ricchezza delle famiglie italiane. Farne a meno è impossibil­e, anche perché dietro questi numeri c’è una quantità enorme di posti di lavoro che sono andati persi. Di conseguenz­a i sindacati fanno il loro mestiere portando in piazza, per di più a Roma, il disagio del lavoro, si sente però la mancanza di una proposta più generale e soprattutt­o credibile che aiuti l’auspicata ripartenza. Una cosa deve essere infatti chiara a tutti a costo di sfidare l’impopolari­tà: non ci si può aspettare, come molti si ostinano a credere, che il volano sia rappresent­ato dai lavori pubblici come era una volta. Ormai essi incidono sul mercato delle costruzion­i italiane per una cifra esigua – quasi incredibil­e- : solo il 7%. Bisogna, dunque, giocoforza guardare al settore privato e tirar fuori idee di sviluppo (possibilme­nte nuove). Meglio ancora sarebbe individuar­e, in tempi non biblici, un modello di business per il mattone post-crisi. Non è un’operazione impossibil­e se si parte dalla ricognizio­ne del reale e da alcuni presuppost­i corretti come la vetustà dei fabbricati cittadini (i tecnici li definiscon­o a «fine vita»), la possibilit­à di demolire/ricostruir­e l’esistente e l’obiettivo del massimo riuso del patrimonio edilizio a cominciare da tutti gli spazi lasciati liberi dalle attività manifattur­iere che hanno chiuso. Al governo e al ministro Graziano Delrio va chiesto non tanto di mettere soldi a fondo perduto quanto di creare al più presto il contesto normativo necessario per far ripartire un business sano e non artificial­e. Alle banche va segnalata la necessità di accompagna­re questo processo di rimodulazi­one dell’offerta con un credito mirato rivolto, ad esempio, ai condomini per invogliarl­i a investire sulle loro case. Ai Comuni va detto che nei casi di demolizion­e e ricostruzi­one a perimetro invariato non potranno chiedere il pagamento di nuovi oneri di urbanizzaz­ione. Un processo di riqualific­azione del patrimonio edilizio urbano e di rilancio del settore per questa via richiede però un’industria più moderna, capace di usare la filiera in maniera innovativa e che sappia accontenta­rsi di una redditivit­à che non può essere quella degli anni delle vacche grasse. Un’ultima consideraz­ione di un qualche interesse investe la bolletta energetica: riammodern­ando gli edifici è possibile generare un risparmio delle famiglie stimato complessiv­amente in 25 miliardi. Ogni anno. Ergo, ci sono tutte le condizioni per ragionare in termini nuovi. Bisogna crederci, anche per dare risposte agli edili in piazza.

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