Gli edili in piazza Ma per il mattone urge un modello di business che guardi ai privati
Si tiene oggi a Roma un’importante manifestazione nazionale dei lavoratori edili, indetta ancora una volta dalle confederazioni Cgil-Cisl-Uil per portare giustamente all’attenzione di un’opinione pubblica più vasta la condizione di crisi profonda del settore. In fondo se il Pil non riparte alla velocità che tutti auspichiamo è anche a causa dell’industria mattone che resta ferma. Non dimentichiamo che l’intero comparto dell’immobiliare made in Italy ovvero la somma degli investimenti in costruzioni più la spesa per affitti e per servizi agli intermediari rappresentava, all’inizio della Grande Crisi, un quinto del Pil e il 60% della ricchezza delle famiglie italiane. Farne a meno è impossibile, anche perché dietro questi numeri c’è una quantità enorme di posti di lavoro che sono andati persi. Di conseguenza i sindacati fanno il loro mestiere portando in piazza, per di più a Roma, il disagio del lavoro, si sente però la mancanza di una proposta più generale e soprattutto credibile che aiuti l’auspicata ripartenza. Una cosa deve essere infatti chiara a tutti a costo di sfidare l’impopolarità: non ci si può aspettare, come molti si ostinano a credere, che il volano sia rappresentato dai lavori pubblici come era una volta. Ormai essi incidono sul mercato delle costruzioni italiane per una cifra esigua – quasi incredibile- : solo il 7%. Bisogna, dunque, giocoforza guardare al settore privato e tirar fuori idee di sviluppo (possibilmente nuove). Meglio ancora sarebbe individuare, in tempi non biblici, un modello di business per il mattone post-crisi. Non è un’operazione impossibile se si parte dalla ricognizione del reale e da alcuni presupposti corretti come la vetustà dei fabbricati cittadini (i tecnici li definiscono a «fine vita»), la possibilità di demolire/ricostruire l’esistente e l’obiettivo del massimo riuso del patrimonio edilizio a cominciare da tutti gli spazi lasciati liberi dalle attività manifatturiere che hanno chiuso. Al governo e al ministro Graziano Delrio va chiesto non tanto di mettere soldi a fondo perduto quanto di creare al più presto il contesto normativo necessario per far ripartire un business sano e non artificiale. Alle banche va segnalata la necessità di accompagnare questo processo di rimodulazione dell’offerta con un credito mirato rivolto, ad esempio, ai condomini per invogliarli a investire sulle loro case. Ai Comuni va detto che nei casi di demolizione e ricostruzione a perimetro invariato non potranno chiedere il pagamento di nuovi oneri di urbanizzazione. Un processo di riqualificazione del patrimonio edilizio urbano e di rilancio del settore per questa via richiede però un’industria più moderna, capace di usare la filiera in maniera innovativa e che sappia accontentarsi di una redditività che non può essere quella degli anni delle vacche grasse. Un’ultima considerazione di un qualche interesse investe la bolletta energetica: riammodernando gli edifici è possibile generare un risparmio delle famiglie stimato complessivamente in 25 miliardi. Ogni anno. Ergo, ci sono tutte le condizioni per ragionare in termini nuovi. Bisogna crederci, anche per dare risposte agli edili in piazza.