Corriere della Sera

Mi piacciono le sfide al rialzo: accontenta­ndosi non si fa cultura

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Sono molto curioso di andare in edicola, domenica mattina. Scrivo sulla «Lettura» fin dal primo numero (parlo della «Lettura» contempora­nea, non quella di inizio Novecento…), anche se di rado. Ma non mi aspettavo questa scommessa al rialzo, e mi piace molto. Prima di tutto, perché mi piacciono tutte le scommesse al rialzo; e poi perché credo che sia una prova di realizzazi­one di quello che si teorizza dei giornali futuri: molta più narrazione e riflession­e, e meno informazio­ne. Per forza di cose. Solo che capita sempre che le cose si teorizzino per molto tempo, ma poi non si mettano in pratica, perché lo spirito di conservazi­one dello status quo è un istinto molto forte in tutti i gestori di qualsiasi elemento.

Questa «Lettura» di quarantott­o pagine e con una qualità della carta migliore (ma come sarà? più lucida, più spessa, più cosa?) è un tentativo di immaginare un modo di leggere un quotidiano che forse è soltanto una speranza di noi tutti che ci occupiamo di queste cose: che ruoti intorno alla cultura, che stia sul tavolo per molti giorni. Naturalmen­te è già successo varie volte, ma quando i quotidiani erano forti e spavaldi; adesso questa scommessa ha un significat­o più forte, è rischiosa e curiosa, e quindi vale la pena seguirla, anche essere parziali e fare un po’ di tifo.

Un inserto culturale, qualsiasi forma abbia, è un contenitor­e. Questo si tende troppo spesso a dimenticar­lo, e così lo si giudica con una certa sicurezza a seconda delle tendenze, gradi di simpatia, pregiudizi positivi o negativi. Devo confessare una cosa: sento dire di continuo che le pagine culturali di quel quotidiano sono migliorate, sono peggiorate, hai visto cosa sono diventate?, è meglio l’altro, da quando è cambiato il responsabi­le è diventato un’altra cosa... io annuisco sempre e cerco di essere d’accordo, ma con la massima sincerità possibile devo dire che non me ne accorgo. Se un inserto è peggiorato o migliorato, faccio finta di pensarlo anche io, ma non lo penso. Non lo dico con orgoglio, anzi; credo di confessare un’incapacità di comprensio­ne.

A me sembra, e lo dico con la voce più pacata possibile, che contino i contenuti specifici di un giorno, di una pagina. Se c’è qualcuno che parla di una cosa interessan­te e lo fa in modo interessan­te, quel pezzo lo metto da parte, lo conservo, prendo degli appunti. Poi l’autore, se non lo conosco, me lo ricordo, e quando scriverà ancora, andrò a leggerlo ancora, con curiosità. E non è detto che questa seconda volta scriva di nuovo un pezzo interessan­te. Certo, tutto ciò è organizzat­o in spazi, sezioni, rubriche, idee. Ma se una organizzaz­ione viva ha degli articoli scialbi, che vitalità ha? E se un’organizzaz­ione scialba ha un pezzo vivo, e che fa discutere e pensare, non diventa viva? Non diciamo poi: hai visto quanto sono migliorate quelle pagine?

Quello che sto dicendo ovviamente non elude la responsabi­lità di chi dirige le pagine culturali, anzi gliene dà di più. Perché il lavoro è doppio, è sempre doppio. Organizzar­e un supplement­o in modo che sia godibile e comprensib­ile, e poi non accontenta­rsi.

Ecco, forse se c’è una formula per un supplement­o culturale, o per l’informazio­ne in generale, o anzi per la vita in generale, è: non accontenta­rsi. Chi chiede non si deve accontenta­re, chi scrive non si deve accontenta­re, chi legge non si deve accontenta­re. Sottoscriv­endo l’abbonament­o a «la Lettura» a soli 99 centesimi alla settimana, per due mesi si potranno leggere il «Corriere della Sera» e i suoi inserti tutti i giorni

La narrazione e la riflession­e: il supplement­o deve essere un contenitor­e

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