Corriere della Sera

Nibali arranca, il resto d’Italia s’è perso nei bassifondi del Tour

Van Avermaet beffa Sagan a Rodez, i nostri ciclisti brillano per la totale assenza dalle volate e dalle fughe

- Marco Bonarrigo

Nel Tour che cuoce à la coque nel Midi-Pyrénées (40 gradi sull’asfalto, 20 borracce a testa consumate) tre domande galleggian­o nell’aria caldissima. La prima: come può Peter Sagan perdere tutte le volate che disputa? La seconda: cos’è lo strano anello al naso della maglia gialla? La terza: dove sono gli italiani?

Cominciamo da Sagan. Sullo strappetto che porta al traguardo, lo slovacco scatta dal gruppo seguendo il belga Van Avermaet e si accuccia alla sua ruota, pronto a infilzarlo. E poi? Sagan: «Sono stato un pollo. Invece di restare in piedi sui pedali mi sono seduto e ho perso il ritmo » . Van Avermaet: «Pensavo: adesso mi supera, adesso mi supera. Invece no». Nel tabellino di Sagan 12 secondi e 5 terzi posti nei tre ultimi Tour contro una sola vittoria, nel 2013. La maglia verde lo consola? «Datemi una vittoria: ve le restituisc­o».

Sprint vincente Van Avermaet, a destra, primo a Rodez (Action Images)

Poi tocca a Froome. Archiviati chetoni, camere ipossiche, motorhome a zero batteri, occhi puntati sullo strano doppio anellino (giallo) che gli passa da narice a narice. «Aiuta a respirare meglio » spiega compita la maglia gialla. Anche a «far felice vostra moglie russando di meno», spiega la pubblicità dell’oggetto su Internet. Assolto dall’ennesimo sospetto, Chris ha neutralizz­ato l’affondo finale di un vivace Nibali, zittendo anche Contador e Quintana. Domani a Mende — salita finale di 4 chilometri — la battaglia potrebbe essere più cruenta.

E gli italiani? Non pervenuti. Dei 14 partiti da Utrecht, tre hanno salutato strada facendo: Paolini (doping), Basso (sala operatoria: dall’altro ieri è a casa) e Bennati (postumi di caduta). Degli altri, poche tracce. Nei primi 100 della classifica generale, oltre a Nibali, ci sono solo i due Caruso (Giampaolo e Damiano) 82° e 97° a un’oretta e mezza da Froome. Nelle 11 fughe registrate fino a oggi presenti atleti di 21 nazioni. Azzurri zero. E la Lampre, unico team italiano in gara, galleggia al penultimo posto della graduatori­a a squadre. È questa l’Italia nella corsa a tappe più importante del mondo? Sì. Perché ad altissimo livello i soli azzurri apprezzati e ingaggiati sono quei 10/ 12 grandi gregari, esperti e maturi, reclutati dai team internazio­nali per supportare i loro big. I Basso, Tosatto e Bennati della Tinkoff, gli Oss e Quinziato della Bmc, il Trentin dell’Etixx, che vinse lo scorso anno ma che qui non ha trovato occasioni e traguardi adatti. Gli altri sono troppo lenti per sprintare con i mostri sacri, non abbastanza potenti per primeggiar­e in una crono (Malori) o non sufficient­emente in forma (come l’eterno inespresso Pozzato) per riuscire almeno a entrare in una fuga, inorgoglie­ndoci per qualche decina di chilometri.

A due giorni dalle Alpi, consoliamo­ci con le disgrazie dei cugini francesi. Ieri Jean-Christophe Peraud, secondo nel 2014, si à giocato diversi centimetri quadrati di pelle ruzzolando da solo sull’asfalto bollente. Il giovane talento Vuillermoz, poi, si è fatto beccare dalla telecamera di uno spettatore mentre si faceva la salita finale aggrappato all’ammiraglia: 40” di penalizzaz­ione e pubblica gogna. Noi italiani andremo anche pianino. Ma al traino mai.

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