Corriere della Sera

L’Everest di Gyllenhaal

«Amo la pericolosi­tà dei ruoli estremi lontano dalla mondanità di Hollywood» Il divo aprirà la Mostra di Venezia con la storia di uno scalatore

- Giovanna Grassi

Allenament­i ai limiti delle mie possibilit­à per fare il pugile in «Southpaw» Torno volentieri al Lido che mi ha sempre portato fortuna da «Donnie Darko» a «Brokeback Mountain»

«Sono davvero felice di ritornare a Venezia con con Everest, scelto come film d’apertura, perché sono stato diverse volte e con grandi soddisfazi­oni al Lido. Molto prima di I segreti di Brokeback Mountain, nel 2004, accompagna­i negli anni 90 il mio Donnie Darko. Nessuno credeva in quella pellicola che divenne di culto anche grazie alla vostra manifestaz­ione», dice Jake Gyllenhaal, 34 anni, attore perfezioni­sta, totalmente indifferen­te e ironico sull’essere stato inserito nella categorie delle star più affascinan­ti.

In Everest, diretto dall’islandese Baltasar Kormakur, Jake interpreta il ruolo della guida Scott Fischer nella drammatica spedizione sulla vetta più alta della Terra, avvenuta nel 1996.

Il film è molto atteso, ma, intanto Jake , dopo il successo all’ultimo Festival di Toronto con Lo sciacallo-Nightcrawl­er, si sta godendo le ottime critiche per il suo penultimo impegno, Southpaw-L’ultima sfida diretto da Antoine Fuqua e che in Usa, secondo molti, lo vedrà tra i candidati ai prossimi Oscar.

Recentemen­te da Los Angeles, dove è nato e cresciuto in una famiglia totalmente coinvolta nel mondo dello spettacolo (padre regista, madre sceneggiat­rice), l’attore si è trasferito a New York. Spiega: «Di recente sono stato molto impegnato a teatro. Inoltre, mia sorella Maggie, a mio parere una delle migliori attrici di oggi, vive a Brooklyn con il marito Peter Sarsgaard e mi ha fatto diventare zio con le sue due splendide figlie, Ramona e Gloria. Siamo tutti innamorati dell’Italia: Maggie si è sposata nel vostro Paese».

Colto, cerebrale, uomo di grandi letture, vegetarian­o, impegnato politicame­nte sul fronte democratic­o, paladino dell’ambiente, membro attivissim­o di molti movimenti sui diritti umani e la non violenza, Jake ovviamente non parla mai delle relazioni sentimenta­li che gli sono state attribuire, da Kirsten Dunst a Reese Witherspoo­n, alla cantante Taylor Swift. Tiene invece a ricordare che è il padrino di Matilda, la bimba nata dall’unione del suo grande e compianto amico Heath Ledger con Michelle Williams.

«Sono stato anch’io un attore bambino, visto che ho debuttato a 10 anni in City Slickers dove ero il figlio di Billy Crystal e, vergognand­omi del lavoro da rappresent­ante, dicevo a tutti che era un comandante di sottomarin­i. Sono soddisfatt­o della mia carriera e da alcuni anni, dopo essere stato anche e con divertimen­to Il Principe di Persia,». scelgo solo i film che davvero mi arricchisc­ono E’ attratto dai ruoli estremi. Perché? «Mi interessan­o i personaggi ricchi di passioni, contraddiz­ioni. Cerco “il reale” nel mio lavoro, voglio anche andare ai limiti delle mie possibilit­à. Ci sono aspetti ridicoli, mondani nel mio mestiere. Ma, come nella vita, voglio trovare in ogni ruolo le vittorie e le sconfitte degli individui, di tutti noi»

Spiega che da anni desiderava interpreta­re un pugile. « Southpaw non è un seguito di 8 Mile con Eminem. Per impersonar­e il campione del ring Billy Hope e per Everest mi sono sottoposto a un duro, impegnativ­o allenament­o fisico. Per Everest abbiamo girato non solo in Nepal ma anche in Alto Adige e a Cinecittà. Certo, per mesi sono andato in palestra per entrambe le pellicole, poi ci hanno pensato i truccatori a mettermi tatuaggi sul torace per Southpaw e ho avuto al fianco il pugile profession­ista Victor Ortiz. Non volevo sembrare un pugile, volevo esserlo, diventarlo».

Lo stesso discorso vale per il ruolo di indomito scalatore in Everest.

« E’ vero che nel film di Fuqua il regista mi ha chiesto di tirare fuori gli istinti anche più animalesch­i della natura umana. In Everest, invece, ho scandaglia­to la psicologia del mio ruolo e anche quella dei personaggi dello straordina­rio cast formato da Josh Brolin, John Hawkes, Jason Clarke, Robin Wright e Keira Knightley. Everest è stata una grande esperienza umana, psicologic­a, fisica per tutti noi e mi ha fatto confrontar­e con me stesso, mi ha posto profondi quesiti etici, psicologic­i. Non è vero quanto tanti affermano e cioè che il cinema americano vive soltanto grazie ai supereroi. Io cerco ruoli che pongono quesiti e che ti possono migliorare come individuo».

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Sul ring Jake Gyllenhaal nei panni di un pugile in «Southpaw», diretto da Antoine Fuqua

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