LA POLONIA RESISTENTE UNA GUERRA SU DUE FRONTI
Sul canale 5 francese hanno trasmesso un programma di Planete Insolite che ad un certo punto esalta la vittoria dei polacchi sul nazismo. Posso capire la Francia che si è dissociata subito con De Gaulle, ma non la Polonia e tantomeno Ungheria, Cecoslovacchia, Romania e Bulgheria che — si fa per dire — sono state liberate dalle truppe sovietiche, a parte l’Italia liberata, veramente liberata dalle truppe angloamericane. Qual è la sua opinione in merito? La Polonia e gli altri Stati che aderirono all’Asse possono poi vantarsi di aver vinto? Nessun dubbio che la Resistenza in tutti questi Paesi abbia svolto un certo ruolo ma è stato esso determinante?
Nerio Fornasier fornasier.nerio@yahoo.fr
Caro Fornasier,
Nessuna Resistenza nazionale può sostenere di avere sconfitto la Germania nazista, durante la Seconda guerra mondiale; ma alcune, fra cui quelle della Jugoslavia, della Francia e dell’Italia, possono certamente vantarsi di avere lungamente impegnato contingenti militari che i comandi tedeschi avrebbero preferito impegnare sul fronte contro le forze alleate. Una in particolare, quella polacca, può aggiungere che la liberazione di Varsavia non fu certamente dovuta all’Armata Rossa. Quando i gruppi combattenti dell’Armia Krajova (l’esercito polacco della nazione) insorsero contro i tedeschi a Varsavia, il 1° luglio 1944, l’Armata Rossa, dopo avere liberato l’Ucraina, era ormai sulle rive della Vistola e avrebbe potuto dare agli insorti un aiuto, probabilmente decisivo. Ma i sovietici non volevano trovare a Varsavia, dopo la ritirata della Wehrmacht, un governo nazionale già insediato da combattenti polacchi, e rimasero sulle loro posizioni sino a quando i tedeschi non riuscirono a schiacciare la rivolta.
Il caso polacco, caro Fornasier, è particolarmente interessante. Nella zona occupata dalla Germania, dopo la spartizione del Paese alla fine del 1939, i polacchi erano riusciti a creare una sorta di Stato ombra che non poteva controllare materialmente il territorio, ma era riuscito a creare una fitta rete di resistenti, organizzati gerarchicamente, e a stabilire contatti con i Paesi alleati. Molte informazioni su questa straordinaria vicenda sono nelle memorie di Jan Karski, pubblicate in Italia da Adelphi nel 2013 con il titolo La mia testimonianza di fronte al mondo. Quando scoppiò la guerra nel settembre del 1939, Karski era un giovane brillante, intelligente, poliglotta. Votato alla carriera diplomatica del suo Paese. Chiamato alle armi e catturato dall’Armata Rossa nelle province orientali della Polonia, fu liberato qualche mese dopo e divenne da allora una sorta di «primula rossa», spericolata, sempre pronta ad accettare missioni impossibili. Il suo compito era quello di uscire clandestinamente dal Paese per raccontare ai governi alleati quali fossero le reali condizioni della Polonia e di quali aiuti avesse bisogno per continuare a combattere la sua guerra segreta.
Prima di un viaggio che lo avrebbe portato a Londra e a Washington (dove ebbe un colloquio con il presidente Roosevelt), volle visitare il ghetto di Varsavia e, vestendo l’uniforme di un poliziotto lettone o ucraino, un campo di sterminio nei pressi di Lublino. Voleva essere in grado di dire agli Alleati di quali orrori potessero macchiarsi i tedeschi. Negli Stati Uniti, dove rimase a lungo, pubblicò prima della fine della guerra un libro sulla Resistenza polacca che ebbe un grande successo. Molto più tardi, dopo una lunga intervista con Claude Lanzmann per un grande film sul genocidio degli ebrei, l’episodio che lo rese noto alla pubblica opinione fu soprattutto la visita al campo di sterminio nei pressi di Lublino. Ma non sarebbe giusto dimenticare che il suo libro era in primo luogo un tributo alla Resistenza polacca.