Cameron, l’islamismo e la sfida di una generazione
Maggiori poteri alle forze dell’ordine per fermare i predicatori dell’odio, obbligo dei rettori di denunciare i gruppi estremisti nelle università, più soldi alle associazioni religiose che combattono il fanatismo. Sono alcune misure del nuovo piano quinquennale contro l’Islam radicale annunciato ieri dal primo ministro inglese, David Cameron, in un incontro pubblico a Birmingham. Una vera e propria chiamata all’unità nazionale contro la «velenosa ideologia» che serpeggia tra gli oltre 2,7 milioni di musulmani britannici e sta silenziosamente catturando le menti di centinaia di giovani, pronti a combattere in Siria (700 sono partiti in questi mesi, metà dei quali sarebbero tornati in patria e potrebbero immolarsi in un attentato). Giovani che «non si identificano davvero con la Gran Bretagna», dice il Premier David Cameron, 48 anni, ha lanciato ieri «una battaglia delle idee» per contrastare il diffondersi dell’ideologia estremista filo-Isis in Gran Bretagna premier, pur essendo nati e cresciuti sull’isola di Sua Maestà.
Cameron ammette «i fallimenti dell’integrazione» e si dice pronto ad affrontare «la sfida della mia generazione»: la lotta a un’«ideologia deformata», fondata su «discriminazione, settarismo e segregazione». E nelle sue parole trova posto anche una sferzata a quella «maggioranza silenziosa» dell’Islam che non riesce più a far sentire la propria voce. O non vuole ammettere il problema. «Negare qualsiasi connessione tra la religione islamica e gli estremisti non funziona», ha detto. «E può essere pericoloso». L’imperativo è evitare che l’Isis vinca la «battaglia della propaganda» fra i teenager più vulnerabili, attratti dall’immagine «glamour» o «eccitante» del Califfato. Il destino che li attende è di finire come «carne da macello», ricorda con fare quasi paterno il premier, che vuole estendere le missioni dei piloti Raf contro l’Isis in Siria, oltre che in Iraq.
Non è la prima volta che la Gran Bretagna s’interroga sulla crisi della sua società multietnica e multiculturale, ma gli osservatori ieri erano concordi nel definire quello di Cameron come il suo più importante appello contro l’estremismo «made in UK»: è una «battaglia delle idee», ha commentato la Bbc. Il piano, che avrà presto una cornice legislativa, punta a rafforzare le misure preventive e di intelligence — ad esempio, dando via libera all’oscuramento di canali o programmi Tv, anche stranieri, che trasmettano messaggi estremisti — ma preannuncia anche una «svolta culturale», a partire dagli incentivi alle scuole affinché siano più integrate, ai condomini di edilizia popolare che non potranno più essere abitati da famiglie di un’unica etnia e alle famiglie dei minorenni che avranno il diritto di requisire il passaporto dei propri figli, se temono che finiscano nelle grinfie del Califfato.
«Non possiamo più essere neutrali, chiudere gli occhi in nome della sensibilità culturale», avverte Cameron, rispolverando un leit motiv dei conservatori. Ma l’invito a «promuovere i valori britannici condivisi», contro «tutti i tipi di estremismo, violento e non violento», si accompagna anche all’appello a «dare maggiori opportunità a tutti». Le reazioni, nell’immediato, sono però piuttosto tiepide. La Fondazione Ramadan, ad esempio, critica il passaggio in cui Cameron respinge qualsiasi responsabilità della «politica estera occidentale» e attacca chi parla di «ingiustizie storiche, recenti guerre, povertà e disagio». «È davvero offensivo che ci accusi di usare tali motivazioni come una scusa — ha detto il direttore Mohammed Shafiq —. Se questo è il modo in cui vuole impegnarsi con la comunità nella lotta contro il terrorismo, sarà un fallimento». E il segretario generale del Consiglio musulmano, Shuja Shafi, si è detto «preoccupato che tutti noi musulmani potremmo essere marchiati come estremisti, anche se sosteniamo e celebriamo lo Stato di diritto e la democrazia. Il dissenso è una nostra orgogliosa tradizione e non deve essere spinta nella clandestinità».
La lotta a una ideologia settaria, fondata sulla discriminazione. Questa è la sfida della mia generazione