La vicenda
Giovedì scorso scrive di una intercettazione in cui il medico di Rosario Crocetta, Matteo Tutino (ai domiciliari per truffa), parlando di Lucia Borsellino avrebbe detto al governatore, che sarebbe rimasto in silenzio, «va fatta fuori come il padre»
Crocetta si autosospende, la Procura di Palermo smentisce l’esistenza della conversazione, ma conferma
Infuria la polemica politica ma Crocetta non arretra e al
dice: «Sono un combattente e un combattente muore sul campo. Il Pd vuole le mie dimissioni? Mai. Mi sfiducino se vogliono, così si renderanno complici dei golpisti e passeranno alla storia come coloro che hanno ammazzato il primo governo antimafia della storia siciliana»
Ieri, dopo tre giorni passati nella sua casa a Castel di Tusa (Me), Crocetta rientra a Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione, per riprendere l’attività istituzionale
Il presidente dei democratici Matteo Orfini, che avvia una ricognizione per conto del premier Renzi, afferma: «Il Pd siciliano non esclude alcuno scenario, affrontando la vicenda ovviamente in stretto rapporto con Roma»
Al quarto giorno di clausura, dopo i pianti e la ribellione, ecco Rosario Crocetta spostarsi dalla francescana casetta di Castel di Tusa e comparire alle quattro del pomeriggio a Palazzo d’Orleans.
Rieccolo nella sede del governo regionale con le vetrate di fronte all’austero bastione di Palazzo dei Normanni dove i grandi manifesti della Via Crucis più che ad una suggestiva mostra di Botero fanno pensare a quello che lui definisce come il suo «calvario». Pronto infatti ad attraversare oggi alle 16 quei cento metri per la seduta dell’Assemblea dove tutti invocano a parole le sue dimissioni, ma dove tanti sperano di non vederle rassegnare. Perché se va a casa Crocetta, vanno a casa tutti e 90 i deputati.
Cosa dirà il governatore lo spiega al Corriere: «Dirò che non posso dimettermi su una motivazione inesistente, su una telefonata e su una frase smentite dalla Procura. Dirò che non sono disponibile a subire all’infinito il martirio, deciso a continuare a combattere il malaffare. Ma che, fatte alcune cose importanti per la Sicilia, per questa terra che rischierebbe la fine della Grecia, possiamo valutare con Parlamento e maggioranza, dentro il centrosinistra, un percorso per una chiusura anticipata della legislatura».
È un colpo di scena. Significa che si va al voto. Entro poco tempo, conferma Crocetta: «Tempi brevi. Per poveri, province, acqua pubblica, bilancio e sblocca-Sicilia potrebbe bastare un mese». Sfibrato dai colpi secchi assestati alla sua storia di paladino antimafia da chi lo presenta ormai solo come un impostore, il governatore non abbandona le barricate, ma sembra cercare una (dignitosa) via d’uscita sganciandosi comunque dall’infamia del bollo impresso dalle intercettazioni in cui i suoi stretti amici brigano e straparlano anche offendendo Lucia Le priorità Dobbiamo prima occuparci di bilancio e Sblocca-Sicilia per non fare la fine della Grecia
Nel 2012
La seduta inaugurale della XVI legislatura dell’Assemblea regionale siciliana, con la nuova giunta guidata da Rosario Crocetta riunita per la prima volta a Palermo il 5 dicembre. In tre anni il governatore ha effettuato 3 rimpasti, superato 2 voti di sfiducia e cambiato 37 assessori Raciti. Per guadagnare qualche mese, per varare riforme e provvedimenti necessari. Ma Raciti è disponibile solo a patto che il governatore volti le spalle al «cerchio magico»: «Deve dire basta alla mitologia dell’antimafia ridotta a strumento di potere, a quel modello da lui scelto come terreno di legittimazione, lo stesso che adesso gli si ritorce contro, circondato da Tutino che si fa strada a colpi di denunce, da Lumia che conosciamo bene e ancora di più da Ingroia».
Potrebbe apparire una tardiva filippica, ma Raciti assicura che la battaglia risale all’anno scorso, «quando io mi misi di traverso per le Europee alla candidatura di Lumia preferendo il professore Fiandaca e loro immediatamente risposero nominando una sfilza di manager nella sanità». Raciti ha ritrovato questo passaggio chiave fra le pieghe della risentita lettera di dimissioni di Lucia Borsellino dall’assessorato alla Salute: «Racconta il corto circuito fra lei e quel gruppo. Noi eravamo per lei. Noi del Pd puntavamo su Lucia, non sugli altri. Ed è chiaro che Lucia ha lavorato dall’interno per smontare tutto».