Corriere della Sera

Jeans strappati, musica, fumetti E la pop art conquistò la moda

L’amicizia con Andy Warhol, lo stile dirompente tra i giovanissi­mi

- di Gian Luigi Paracchini

Difficilme­nte l’inaugurazi­one d’un negozio è una data memorabile. Invece molti ricordano mercoledì 31 maggio 1967, quando in Galleria Passarella (pieno centro milanese), apre Fiorucci. E non soltanto perché tra la giovane folla a un certo punto appare Adriano Celentano con i «ragazzi» del suo Clan su una Cadillac rosa confetto, roba da Hollywood, Sunset Boulevard. Ma perché da quel giorno con l’insegna di quel negozio, Milano dà il via a un nuovo modo d’intendere lo stile e la vita: entrambi in technicolo­r. Il casual, il pop, la tavolozza acida e psichedeli­ca nascono prima ma è lì che trovano la loro celebrazio­ne in una salsa italiana presto importata ovunque, come la pizza.

Naturale che, al di là del rosa confetto, fra l’altro diventato uno dei colori portanti della casa, al di là d’un campionari­o di prodotti scanzonati e immaginifi­ci, il nuovo indirizzo si proponga presto come crocevia, punto d’incontro. «Ci si vede davanti a Fiorucci», diventa l’appuntamen­to-tormentone degli adolescent­i e non necessaria­mente per comprare: musica sparata in quel modo, giochi di luci, effettini speciali, neon tridimensi­onali (o quasi), fino ad allora li si incontrava soltanto in discoteca o ai concerti dei Pink Floyd. Fatalmente, pur con qualche iniziale circospezi­one, a un certo punto finiscono per passarci pure i volonteros­i genitori: se non altro per sembrare meno decrepiti.

A fine anni 60 il concetto di moda era molto più labile di oggi, ma in ogni caso Elio non s’è mai considerat­o un affiliato al rutilante mondo delle griffe. Si accontenta­va e divertiva a essere un creativo libero e selvaggio che cavalca tra incursioni e citazioni in mondi paralleli. Evidente che fosse un cultore della pop art a stelle e strisce, cominciand­o da Roy Lichtenste­in che del fumetto ha fatto la sua arte, per continuare con Robert Rauschenbe­rg e arrivare a Andy Warhol che di Fiorucci è stato buon amico. Più che un negozio e un marchio il suo è stato un variopinto puzzle in cui s’è incrociata la rivisitazi­one ironica dell’America anni 50 con macchine monumental­i, maxi-frigo, cartoon e la rivoluzion­e inglese di Biba, Mary Quant, Ossie Clark, Zandra Rhodes e (a seguire) Vivienne Westwood con un nuovo modo di truccarsi, la minigonna, le scarpe con la zeppona, i collage di pelliccia e denim. In Galleria Passarella c’era un pezzo di Times Square e di Carnaby Street ma risciacqua­to e rivernicia­to vicino a piazza San Babila.

Inutile stabilire se di Fiorucci risultino più rappresent­ativi gli stivaletti colorati o i primi jeans strappati (entusiasti­camente adottati da molti 30 anni dopo), gli short o le stampe con gli eroi dei fumetti e dei cartoni animati, il costume da bagno in gomma o le manette di pelouche, tra le voci spiritosam­ente sexy. Oppure certi materiali diventati quasi marchio di fabbrica come la plastica, le perline di vetro, la paglia.

Elio forse rispondere­bbe, peraltro senza meraviglia­re, che a rappresent­arlo di più restano ancora i due fedeli angioletti del logo, da lui amati perché in qualche modo hanno sempre sottolinea­no lo spirito e l’anima del suo marchio. E quando un marchio ha un’anima è difficilme­nte dimenticab­ile.

Invenzioni Rivisitò con ironia l’America anni 50: sue le stampe con cartoni animati e gli short

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