Corriere della Sera

AIUTI La cooperazio­ne internazio­nale apre ai privati (con poche garanzie)

I finanziame­nti per lo sviluppo L’Italia è la più avara con lo 0,16% del Pil. Dopo la conferenza di Addis Abeba, la svolta con il coinvolgim­ento del mondo del profit. Ma le ong sono allarmate: «Manca trasparenz­a»

- di Luca Mattiucci

Ancora oggi nel mondo una persona su sette vive in condizioni di estrema povertà. Il Vertice — spiega la direttrice generale di Oxfam, Winnie Byanyima — poteva essere l’occasione per trovare gli strumenti che mettessero fine una volta per tutte a questo scandalo. Nel summit, però, molti obiettivi cruciali sono scomparsi dall’agenda dei lavori, oppure sono stati modificati. Ad esempio il finanziame­nto dei progetti di sviluppo è stato consegnato al settore privato». È con questo commento lapidario che una tra le principali Ong internazio­nali liquida la Terza Conferenza Internazio­nale sul finanziame­nto per lo sviluppo di Addis Abeba, conclusasi la scorsa settimana e che avrebbe dovuto delineare gli asset di investimen­to in vista del Vertice Onu sull’Agenda post 2015 di settembre a New York. Nonostante, infatti, il 2015 potrebbe essere ribattezza­to l’anno delle agende globali, tra summit e dibattiti, fuori e dentro Expo, il rischio è quello di liquidare senza troppo rumore gli «Obiettivi di Sviluppo del Millennio» che, ormai lontani dall’anno 2000, non sortiscono più l’effetto sensaziona­listico a lungo cavalcato dai governanti del mondo e rivelano un bilancio a dir poco negativo: fame e povertà non ancora cancellate, uguaglianz­a di genere al palo, Hiv e malaria ancora tra noi, mortalità infantile per nulla sconfitta e sostenibil­ità ambientale lontana dall’essere realtà palpabile. Ma la politica necessita di slogan e se si tratta di politica mondiale, tanto più lo slogan deve essere efficace.

La scena si apre così sui nuovi Obiettivi di Svi- luppo Sostenibil­e che, mandati in soffitta quelli del Millennio, hanno preso le mosse dall’agenda di Rio+20, il summit in cui emerse chiarament­e che clima e ambiente potevano attendere, ma i mercati no. La quattro giorni di Addis Abeba ha visto al centro la cooperazio­ne italiana la quale, pur non brillando in trasparenz­a con il suo 36° posto su 50, bollata come «Very Poor» (da Eu Aid Transparen­cy Review 2015), ha fatto la parte del leone con il premier Matteo Renzi in prima fila. Un leone che zoppica, considerat­o che la spesa per gli aiuti pubblici in Italia è ferma allo 0,16% del Pil (2014), ben lontano dello 0,7% che i paesi Ocse si erano prefissi. Per la società civile, quindi, il summit poteva essere il punto di svolta per la cooperazio­ne come nuovo fulcro delle strategie delle politiche estere degli Stati. Ma la speranza per molte Ong è stata sconfessat­a dai fatti «Si è persa un’occasione per chiedere al settore privato — spiega il direttore italiano di Amref Healt Africa, Guglielmo Micucci — di sottostare agli standard internazio­nali in materia di diritti umani. L’apertura al profit è importante ma deve essere governata in maniera trasparent­e soprattutt­o nei confronti dei popoli africani». Dello stesso avviso Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia: «L’evasione fiscale delle multinazio­nali fa sì che i Paesi poveri perdano 100 miliardi di dollari ogni anno. Ma finora nessuna soluzione è stata trovata». Con una posizione attendista poi le tre reti di ong italiane Aoi, Cini e Link 2007: «Valutiamo intanto positivame­nte gli impegni enunciati dal Presidente Renzi». Il riferiment­o è alla promessa del premier, unico presente assieme a quello svedese, di aumentare le risorse per permettere all’Italia di divenire il quarto donatore tra i paesi del G7, prima del Vertice del 2017: «Questo vorrebbe dire passare in due anni dall’attuale 0,16% allo 0,25% in una proiezione che mantenga invariate le risorse messe in campo dagli altri sei Paesi — spiega Francesco Petrelli di Oxfam Italia — Un impegno che monitorere­mo attentamen­te». E se nelle parole di Renzi non si è fatto cenno alla tassa europea sulle transazion­i finanziari­e, lasciando inevasa la proposta dei Paesi in via di sviluppo per la creazione di un organismo capace di mandato e risorse per ridefinire il sistema di tassazione delle multinazio­nali, non è mancato da parte del premier un endorsemen­t al settore privato con una chiamata in causa della Cassa Depositi e Prestiti come attore di primo piano. La Cdp avrà la gestione delle risorse pubbliche destinate allo sviluppo, con l’obiettivo di fornire finanziame­nti a condizioni di favore ai settori pubblico e privato dei paesi partner, e il finanziame­nto diretto di progetti di sviluppo, per favorire l’imprendito­ria locale e la costituzio­ne di imprese miste, mettendo a disposizio­ne strumenti di risk sharing e capitale di rischio. Un investimen­to sulla scia del documento conclusivo del Vertice che pone i privati in una posizione centrale nel piano di stanziamen­ti. A destare preoccupaz­ioni le scarse garanzie che i fondi del for-profit siano utilizzati per favorire uno sviluppo sostenibil­e oltre a garantire la tutela dei diritti e l’interesse pubblico. Gli applausi non sono comunque mancati: piuttosto ad essere mancato è stato il Viceminist­ro degli Esteri e della Cooperazio­ne, figura chiave della riforma varata nel 2014. Posto lasciato vacante da Lapo Pistelli lo scorso 15 giugno, che dal primo luglio ricopre la carica di Vice Presidente Senior dell’Eni, con il compito di curare i rapporti proprio con Medio Oriente e Africa. Come spiegò bene al Forum della Cooperazio­ne 2012 l’ex Ad di Eni Paolo Scaroni: «La Cooperazio­ne allo sviluppo è diventata centrale nella nostra strategia d’impresa: è indispensa­bile».

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L’evasione fiscale delle multinazio­nali causa una perdita annuale per i Paesi poveri di 100 miliardi di dollari Oggi nel mondo una persona su sette vive in estrema povertà Renzi si impegna a far salire il contributo allo 0,25% del Pil. Ed entra in scena la Cassa Depositi e Prestiti

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