Corriere della Sera

I Paesi in conflitto non rientrano negli obiettivi

- Lu. Matt.

Gli Obiettivi di Sviluppo sostenibil­e che traccerann­o le linee di azione dei prossimi 15 anni di lavoro per lo sviluppo globale proseguono il loro cammino con il summit di settembre al Palazzo di vetro dell’Onu a New York. A dicembre sarà poi la volta dell’appuntamen­to di Parigi (Cop 21) con la discussion­e sulle politiche di riduzione dei cambiament­i climatici. Due incontri che arrivano al banco di prova dopo mesi di campagne di sensibiliz­zazione, tavoli e negoziazio­ni. Ma a destare preoccupaz­ione resta la sostenibil­ità finanziari­a complessiv­a e la coerenza delle politiche in campo: «Nonostante la necessità di affrontare i cambiament­i climatici — fanno sapere dalla rete di Ong del Regno Unito Bond — il draft non specifica la necessità di fonti rinnovabil­i di energia». Stando, poi, all’ultimo rapporto delle tre Agenzie dell’Onu (Fao, Ifad e Pam) per raggiunger­e il solo obiettivo Fame zero entro il 2030 ci vorranno 267 miliardi di dollari per aree rurali e protezione sociale. Tra le critiche, quella che porta la firma dell’Internatio­nal Rescue Committee: «I nuovi Obiettivi non aiuteranno le popolazion­i che vivono in zone di conflitto, che oggi rappresent­ano il 43% dei poveri. Queste persone non sono contemplat­e tra gli obiettivi». Un concetto ripreso dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon: «I conflitti restano la più grande minaccia per lo sviluppo umano, visto che sono i Paesi colpiti da conflitti a sperimenta­re i tassi di povertà più elevati». Generando migrazioni di milioni di persone: un allarme rilanciato diverse volte dalle Ong italiane sempre più impegnate a prestare soccorso in patria che non all’estero.

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