TIZIANO ROSSI IL CANTORE DI PICCOLI FATTI
C’è sempre qualcosa di strano nella realtà che ci circonda. Per coglierla appieno è, spesso, necessaria una particolare sensibilità: di un poeta, per esempio. È il caso di Tiziano Rossi, il cui primo libro Il cominciamondo esce nel 1963, a 28 anni. Ne seguono altri (’68, ’76, ’82, ’88, ’98, 2000), raccolti, nel 2003, in Tutte le poesie. Nel 1995, con Ermanno Krumm, cura l’antologia Poesia italiana del Novecento. Poeta, Rossi, ma anche narratore. Prose brevi: Cronaca perduta (2006), Faccende laterali (2009), Spigoli del sonno (2012). E, adesso, Qualcosa di strano (La Vita felice, pagine 182, € 14): 58 raccontini di due-tre pagine cadauno, in cui decine di personaggi danno vita ad affreschi di notevole impatto.
Piccole cronache, episodi in cui ci si imbatte tutti i giorni. È il finale che fa la differenza: quasi sempre surreale. Il «qualcosa di strano», appunto. A ben guardare, ci sarebbe materiale per l’opera dei pupi o per i cantastorie che una volta illustravano le immagini delle fiancate dei carretti siciliani.
Ecco Rinaldo, lo spacciatore di cocaina che nasconde la droga nella cantina condominiale e, prima che i carabinieri vengano a prenderlo, si improvvisa artista di un presepio sui generis. Segue il professore in pensione Ovidio Boschiero che dà lezioni private a un alunno di nome Egisto, cui spiega che le Catilinarie di Cicerone sono costruite come un’opera di ingegneria. Ma, quando si rende conto «di avere messo insieme una spiegazione arruffata e inefficace» passa a Orazio: anche se il poeta latino cercava l’equilibrio, conclude, in realtà era un nevrotico. Alla fine, Egisto chiede in prestito le Catilinarie per leggerlo a casa, ma mentre attraversa il parco rionale sente il bisogno di gettare il libro in un cespuglio e di cominciare a correre «respirando rumorosamente».
In Ménage, una sorella «si mette a sgrassare il colletto di velluto» di un cappotto del fratello, perché «la tintoria costa troppo». Viene in mente la giacchetta rivoltata di Renato Fucini, delle nostre letture adolescenziali. Solo che qui il finale è inaspettato (il «qualcosa di strano», appunto): che «la gente non dica che il loro è semplicemente un incesto». E Mirko? Si commuove nel leggere il nome della fidanzata sulla guida telefonica. C’è anche il critico letterario milanese che prepara la recensione di un libro di versi. Ironia non coincide con sarcasmo, né con umorismo, né con presa di distanza, bensì con dissimulazione, pensa. È tutto pronto. Il libro non esiste? Non importa: prima o dopo ne arriverà qualcuno.
Si respira una certa aria di Germi e Monicelli nella riunione di condominio. «Ci metto la firma: Vittorino Pira». E il buontempone: «Di quella pira l’orrendo foco / tutte le fibre arse, avvampò». E gli altri: «Empi spegnetela, o io tra poco / col sangue vostro la spegnerò...». Allora «tutti i presenti si riunirono in un coro gagliardo che li sospinse fuori dall’edificio e poi sulla strada, a comporre un incantato, stranito corteo».
Il dottor Meoni ama viaggiare, ma vive su una sedia a rotelle: per «partire», gli basta una carta topografica e inventarsi un’infanzia mai avuta. Ricchissimo, l’ingegner Ciobilli vede sgretolarsi il suo mondo, quando il suo impero va a rotoli, e decide di farla finita, cospargendosi di whiskey e buttandosi dentro il camino acceso. «Il Ciobilli xe un mona», commenta la gente.
Storie, «interni» delineati con poche pennellate in pagine deliziose, leggere; prose «domestiche», semplici, di resa immediata. A 80 anni, Tiziano Rossi continua le lezioni private del professore in pensione Ovidio Boschiero. Quello di pagina quindici.