Il teatro rock di Ostermeier
«I miei spettacoli come jam session Amo l’anarchia di Fassbinder in un incrocio di musica e video»
Come in un collage postmoderno, le sue regie mescolano musica, video, pop art e fumetto nel ritmo serrato del montaggio cinematografico. Thomas Ostermeier dirige dal 1999 uno dei più importanti teatri europei, la Schaubühne di Berlino ma con i suoi spettacoli ha attraversato in tour mezzo mondo. Nel 2011 ha ricevuto alla Biennale di Venezia il Leone d’oro alla carriera; la Francia lo ha appena onorato con il più alto riconoscimento culturale di Commandeur de l’Ordre des Arts et des Lettres.
A costruirne la fama sono stati spettacoli potenti come La morte di Danton (2001), Casa
di bambola e Woyzeck (2004), Blasted (2005), Nemico del popolo (2012) con il quale ha fatto tappa in giugno, accolto come una rockstar, al Napoli Teatro Festival. Il suo diabolico e sanguinario
Riccardo III visto pochi giorni fa ad Avignone è già uno spettacolo di culto.
In questa lunga scia di successi si inserisce Il matrimonio di Maria Braun, versione teatrale del film del 1979 del regista simbolo del cinema tedesco Reiner Fassbinder, che Ostermeier presenta in prima italiana il 31 luglio alla Biennale di Venezia.
Il ritmo e la musicalità sono il cuore del suo teatro...
«Mi piace considerare i miei spettacoli come una specie di jam session a cui concorrono diversi elementi: gli attori, il testo, i video. E, come in una jam session, bisogna saper “ascoltare” l’altro. Nelle mie creazioni la comunicazione non passa solo attraverso la parola, ma utilizza il contributo di luci, immagini, musica».
Ha fama di essere molto esigente con i suoi attori.
«Considero la messa in scena come una sorta di partitura, una musica che deve essere provata e riprovata».
Cosa racconta dell’Europa, oggi, «Il Matrimonio di Maria Braun»?
«Lo considero un testo di estrema attualità per come parla di amore e di sentimenti in una società totalmente concentrata sul denaro: una parabola sul “miracolo tedesco” del dopoguerra in cui il benessere mette a tacere le coscienze. Fassbinder era un rivoluzionario all’interno di una società conservatrice, uno spirito anarchico: la sua opera è per me fondamentale. “Il matrimonio di Maria Braun” è anche una riflessione sul potere. Che, nel nostro mondo capitalista, è strettamente legato a quello finanziario».
Allude al ruolo politico della Germania in Europa?
«Sono il primo a essere critico verso il mio Paese e a riconoscere che, sotto l’egemonia della Germania, intere generazioni specialmente in Grecia, ma anche in Italia e Spagna, o nelle banlieu francesi, non hanno nessuna possibilità di progettare un futuro migliore». Cos’è per lei il teatro? «È soprattutto un mezzo per rappresentare le dinamiche delle relazioni umane. La “verità” che mi interessa portare in scena è la narrazione il più possibile realistica delle emozioni, delle speranze».
I giovani la amano come una rockstar.
Egemonia Sotto il dominio politico della Germania intere generazioni in Europa non hanno un vero futuro
«Credo che il teatro sia l’unico posto che offra loro qualcosa di veramente diverso dalla televisione e da Internet. È uno degli ultimi spazi pubblici in un mondo dove lo spazio pubblico è diventato in larga parte un luogo di transito e di consumo».
Eppure sempre più spesso si parla di crisi del teatro…
«La crisi non è solo del teatro, ma anche del cinema e dell’arte, diventati ormai terreno di speculazione dei “nuovi ricchi”». Ha dei maestri? «Amo citare l’iraniano Reza Abdoh (1963-1995), ma ammiro anche il lavoro di Romeo Castellucci e Rodrigo Garcìa».
Al cinema invece, oltre a Fassbinder, per chi tifa?
«Cassavetes, i fratelli Dardenne, i Coen…».