Corriere della Sera

«I beni culturali siano considerat­i servizi essenziali»

- Di Lorenzo Salvia

Il ministro delle Infrastrut­ture Graziano Delrio, dopo gli scioperi che hanno «chiuso» Pompei ai turisti per un’assemblea sindacale, dice al Corriere: «Credo giusto far rientrare la fruizione dei beni culturali tra i servizi pubblici essenziali».

«La metropolit­ana di Roma e il sito di Pompei possono sembrare molto diversi fra loro. Ma hanno anche qualcosa che le mette sullo stesso piano». Le condizioni in cui sono ridotte, forse. «No, sono beni comuni, appartengo­no alla collettivi­tà. E quindi credo sia giusto far rientrare la fruizione dei beni culturali tra i servizi pubblici essenziali. In modo da proteggerl­i meglio da quelle iniziative di protesta, non sempre legittime, che finiscono per danneggiar­e tutto il Paese». Graziano Delrio — ministro delle Infrastrut­ture e dei Trasporti — ci arriva alla fine di un ragionamen­to su scioperi, Atac, regole sindacali da cambiare e soglie di rappresent­anza. «La mia è un’osservazio­ne personale — dice — e la materia non è di mia diretta competenza. Ma non sono il solo a pensarla così ed è opportuno procedere alla svelta».

Eppure, anche nel settore dei trasporti, che sono già un servizio pubblico essenziale, scioperi e proteste a sorpresa non mancano di certo, come dimostra quello che sta succedendo a Roma. A che punto siamo con le regole più severe annunciate qualche mese fa?

«C’è stata una riflession­e. Lo sciopero è un diritto tutelato dalla Costituzio­ne e quindi credo sia meglio evitare un intervento diretto del governo. In Parlamento ci sono già diverse proposte di legge, le accompagne­remo verso l’approvazio­ne con il coinvolgim­ento di tutti».

È stato per caso il capo dello Stato a suggerirvi di evitare un intervento diretto?

«Non mi sono confrontat­o con il presidente su questo tema. Ma su argomenti così delicati è giusto ragionare al di sopra degli schieramen­ti. Si può partire dalle proposte dei senatori Maurizio Sacconi e Pietro Ichino, ad esempio, e c’è anche una proposta di iniziativa popolare». In quei testi si dice che lo sciopero si può fare solo se proclamato da chi rappresent­a il 50% più uno dei lavoratori del settore. Per lei resta quello il punto di partenza?

«Sì, come sono convinto che il referendum preventivo fra i lavoratori sia una buona idea».

Anche l’ipotesi che in caso di sciopero illegittim­o sia sanzionato non il sindacato ma direttamen­te il lavoratore?

«Anche quella, ma ripeto: deciderà il Parlamento, non vogliamo imporre nulla dall’alto. Anche perché in caso di proteste selvagge e sabotaggio non c’è mica bisogno di nuove regole. Con le leggi che abbiamo si può arrivare anche al licenziame­nto».

Sabotaggio, dice. Quindi pensa che in questi giorni a Roma gli stop e i ritardi siano stati dolosi?

«Almeno in parte credo proprio di sì. Una cosa è chiedere un contratto collettivo che non venga rinnovato ogni dieci anni senza dover aspettare la Corte costituzio­nale, una cosa è volere regole più chiare sulla formazione e l’aggiorname­nto. Un’altra è timbrare il cartellino e poi non lavorare come il contratto impone. Chi non rispetta le regole non sta protestand­o ma sta facendo un atto di sabotaggio, di spregio verso il bene pubblico. Con loro si deve essere molto duri, nessuna timidezza».

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, è stato timido?

«Direi proprio di no. È stato duro, giustament­e duro».

Il sabotaggio «A Roma ci sono stati veri e propri atti di sabotaggio. Su quelli bisogna essere duri» È giusto che lo sciopero si faccia solo se proclamato dal 5o% più uno dei lavoratori del settore Così come penso che sia una buona idea il referendum preventivo

Anche dopo la protesta di Capodanno dei vigili urbani, assenti in massa per malattia, tutti annunciaro­no misure severissim­e. Poi non è successo quasi nulla. Non è che i sabotatori sono inafferrab­ili?

«No. Quando ero sindaco a Reggio Emilia sono arrivato a licenziare dei dipendenti che timbravano il cartellino e poi andavano a fare la spesa. Bisogna essere pazienti e tenaci».

Ma nel disastro di Atac e nel degrado di Roma che finisce sul New York Times per due giorni di fila, il sindaco non ha responsabi­lità?

«Non ho elementi per dire se ha responsabi­lità ed eventualme­nte quali. Ricordo però che Atac è in condizioni drammatich­e da diversi anni. Il problema non è certo nato con Marino».

E l’idea del sindaco di aprire ai privati?

«Rispetto l’autonomia, nel caso specifico sarà il Comune di Roma a decidere. Ma in generale sono favorevole. Quello del trasporto pubblico locale è un settore a basso rendimento, con i bus e i tram non si fanno i soldi. Fare entrare aziende che si occupano anche di altri servizi, magari più redditizi, può essere d’aiuto. Ci saranno incentivi nella riforma sul trasporto pubblico che spero di presentare prima della pausa estiva».

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