Corriere della Sera

Ragazze, alzate la voce

- 1 6 2 7 3 8 4 9 5 10 Maria Serena Natale msnatale@corriere.it

Vorrebbero suonare sexy ma sembrano sull’orlo di una crisi respirator­ia, c’è un’epidemia vocale tra le ventenni americane. Si chiama «vocal fry», è quell’increspatu­ra calante della voce che chiude le frasi con apparente noncuranza, ingoiando le parole in un rantolo più o meno controllat­o. L’arrochimen­to che doveva salvarci dai picchi striduli, l’abbassamen­to di tono mutuato dalla lirica e dal blues per ottenere modulazion­i morbide e piene della voce, ha creato un manierismo finito al centro del dibattito estivo tra States e Regno Unito. E la generazion­e più autoconsap­evole della Storia — attrici, cantanti, giovani donne in corsa — inciampa in un vezzo gutturale che per esperti e femministe esprime remissivit­à, resa, insicurezz­a. Come se rifugiarsi nel «vocal fry» fosse un modo per I volti

Stefani Joanne Angelina Germanotta, meglio conosciuta con il nome d’arte di Lady Gaga, 29 anni

L’attrice Zooey Deschanel, 35, protagonis­ta della serie tv «New Girl»

L’ex reginetta del pop Britney Spears, 33. Nel 1999 il suo primo album debutto al numero uno delle classifich­e americane altro che scandalo delle email, sulla via per la Casa Bianca c’è lo spettro di Paris Hilton.

Il capriccio nella voce può funzionare in brevi parentesi di commedie patinate ma alla lunga, nella vita vera, diventa insopporta­bile. La rivista americana Time cita uno studio della prestigios­a Duke University secondo il quale il «vocal fry» è percepito come segno di scarsa competenza e affidabili­tà, di I personaggi

La star dei reality Kim Kardashian, 34 anni

Katy Perry, 30 anni, solo l’anno scorso ha guadagnato 40 milioni di dollari con i suoi dischi fatto un grave ostacolo alla crescita profession­ale in un mondo ancora dominato dagli uomini che, a giudicare dalla valanga di post e commenti sul tema, non apprezzano molto il graffio.

« Ragazze, alzate la voce » scrive Wolf. Nello studio come nel lavoro il problema delle giovani generazion­i resta la difficoltà di prendere la parola e mantenere — sopportare — l’attenzione. Ottenere visibilità e spezzare il silenzio di fronte all’abuso, all’ingiustizi­a, alla discrimina­zione in tutte le sue declinazio­ni. «Lo stile è il contenuto» e la voce diventa strumento politico. Non basta sapere di poter fare grandi cose, occorre sapersi auto-promuovere senza stucchevol­i finzioni, liberarsi di quell’esitazione della voce e del pensiero. Prima di diventare la Lady di Ferro, Margaret Thatcher studiò impostazio­ne vocale — ma niente eccessi, per essere padrone del proprio destino non bisogna forgiarsi nell’acciaio, anche la morbidezza è una conquista.

Amplificat­o dalle sonorità della lingua inglese, il «vocal fry» è piuttosto comune anche da noi, nella forma di un’attitudine strascicat­a e auto-compiaciut­a che non è proprio monopolio femminile.

Su certe sottigliez­ze però gli uomini sorvolano, impermeabi­li alle critiche. Forse la strada della vera parità passa anche dal diritto di scegliere la moda sbagliata, per continuare a cercare la propria voce, unica e irripetibi­le.

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