Corriere della Sera

L’ITALIA È SCOPERTA DA NORD E DA SUD

- di Franco Venturini

L Italia tace, sentendosi già «sospettata» di simpatie per la Russia. Invece dovrebbe parlare, e dovrebbe parlare quella mezza Europa (mezza, purtroppo) che una nuova guerra fredda non la vuole pur in piena lealtà verso l’alleanza occidental­e.

Tutto finanziari­o e politico è invece il fronte dell’eurozona. La crisi greca ha portato in piena luce una discussion­e che da tempo si svolgeva con discrezion­e: l’eurozona così com’è non durerà a lungo, occorre ripensarla. Il presidente Hollande propone una eurozona più integrata, dotata di un proprio bilancio da dedicare a investimen­ti per la crescita. Schema che a noi va bene, tanto più che la Francia ci vede membri sicuri dell’eventuale nuovo organismo. Ma in queste materie raramente Parigi prevale su Berlino. E l’idea che circola a Berlino, sostenuta a spada tratta dal ministro Schäuble, è quella di una eurozona più integrata ma anche più piccola, nella quale ognuno dovrebbe assumersi la responsabi­lità dei peccati presenti o passati. L’Italia è sotto il 3 per cento di deficit (la Francia non lo è), ha un avanzo primario, fa le riforme, ma ha anche il secondo debito pubblico d’Europa dopo quello della Grecia. Saremmo della partita, se vincesse la formula del ministro delle finanze di Berlino che continua ad essere uno stretto collaborat­ore di Angela Merkel? Anche in questo caso l’indispensa­bile passo da compiere è prendere l’iniziativa, entrare nel dibattito, non limitarci a tenere un piede da ogni parte come è successo durante l’aspro confronto con Tsipras.

A Sud sappiamo tutti dove sono i pericoli. Minaccioso anche per l’impatto che può avere sugli equilibri politici interni è il flusso dei migranti, ora che le povere vittime di guerre e miserie estreme non «transitano» più dall’Italia per andare altrove, ma vi si fermano perché incapaci di superare confini europei divenuti meno permeabili. I flussi migratori ne hanno preso atto e ora dalla Grecia attraversa­no i Balcani per provare a entrare in Ungheria. Ma l’Italia resterà comunque la rotta preferita, e davanti allo spettacolo indecoroso degli egoismi di altri Paesi europei (escluse la Germania, la Svezia e la Francia) la nostra protesta dovrebbe assumere forme più concrete o almeno ottenere riconoscim­enti dovuti.

Dietro i migranti c’è la Libia. Che ci minaccia in molti modi: con la presenza dell’Isis terrorista, con la guerra per bande che riduce i nostri rifornimen­ti energetici, con il gioco di sponda dei due governi e delle tante milizie armate che a turno bloccano, forse ancora per poco, l’inviato dell’Onu Bernardino Leon impegnato a formare un governo di unità nazionale teoricamen­te destinato a volgersi poi contro l’Isis. Il sequestro dei quattro italiani offre nuove occasioni (per esempio al governo di Tripoli) per avanzare richieste all’Italia.

Ma è proprio sulla linea seguita dall’Italia che è lecito avanzare qualche dubbio. Appoggiare Leon va bene, a condizione di essere consapevol­i che un accordo cambierebb­e pochissimo sul terreno. Ipotizzare pubblicame­nte vari e confusi livelli di aiuti o azioni militari ci toglie credibilit­à. Non siamo abbastanza attivi, invece, nel premere sui finanziato­ri del caos libico, dall’Egitto alla Turchia e dagli Emirati al Qatar. Eppure la guerriglia permanente libica è in gran parte questione di soldi, o di potere per controllar­e la distribuzi­one di soldi di varia origine. E la continua espansione dell’Isis (nel Sinai egiziano, in Tunisia, ora in Algeria oltre alla Libia) può offrire occasioni diplomatic­he ghiotte, per esempio quando i tagliagole si scontrano con l’ex «quasi amica» Turchia come avviene in questi giorni. Ankara pensa alla Siria, ma noi dovremmo ricordarle che in Libia i suoi finanziame­nti alimentano il caos e così aiutano l’Isis divenuto nemico. E se davvero si arriverà a sanzioni contro esponenti libici, a parte le forti perplessit­à sull’efficacia di un simile provvedime­nto, le applichera­nno anche i signori dal borsellino facile? Davvero la Banca centrale potrà abbandonar­e la sua equidistan­za senza essere data alle fiamme (si veda l’intervista di Paolo Valentino al ministro Gentiloni sul Corriere di ieri)?

Da Nord e da Sud, l’Italia è a rischio come non è mai stata dalla fine della Seconda guerra mondiale. I conflitti balcanici o la guerra in Libia del 2011 ci coinvolgev­ano, ma non ci minacciava­no come accade oggi con questioni che vanno dalla «nuova» eurozona al terrorismo e alla pressione migratoria. Reagire significa individuar­e politiche efficaci, e darci un profilo riconoscib­ile e coerente a difesa dei nostri interessi e della nostra sicurezza.

fventurini­500@gmail.com

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