L’ITALIA È SCOPERTA DA NORD E DA SUD
L Italia tace, sentendosi già «sospettata» di simpatie per la Russia. Invece dovrebbe parlare, e dovrebbe parlare quella mezza Europa (mezza, purtroppo) che una nuova guerra fredda non la vuole pur in piena lealtà verso l’alleanza occidentale.
Tutto finanziario e politico è invece il fronte dell’eurozona. La crisi greca ha portato in piena luce una discussione che da tempo si svolgeva con discrezione: l’eurozona così com’è non durerà a lungo, occorre ripensarla. Il presidente Hollande propone una eurozona più integrata, dotata di un proprio bilancio da dedicare a investimenti per la crescita. Schema che a noi va bene, tanto più che la Francia ci vede membri sicuri dell’eventuale nuovo organismo. Ma in queste materie raramente Parigi prevale su Berlino. E l’idea che circola a Berlino, sostenuta a spada tratta dal ministro Schäuble, è quella di una eurozona più integrata ma anche più piccola, nella quale ognuno dovrebbe assumersi la responsabilità dei peccati presenti o passati. L’Italia è sotto il 3 per cento di deficit (la Francia non lo è), ha un avanzo primario, fa le riforme, ma ha anche il secondo debito pubblico d’Europa dopo quello della Grecia. Saremmo della partita, se vincesse la formula del ministro delle finanze di Berlino che continua ad essere uno stretto collaboratore di Angela Merkel? Anche in questo caso l’indispensabile passo da compiere è prendere l’iniziativa, entrare nel dibattito, non limitarci a tenere un piede da ogni parte come è successo durante l’aspro confronto con Tsipras.
A Sud sappiamo tutti dove sono i pericoli. Minaccioso anche per l’impatto che può avere sugli equilibri politici interni è il flusso dei migranti, ora che le povere vittime di guerre e miserie estreme non «transitano» più dall’Italia per andare altrove, ma vi si fermano perché incapaci di superare confini europei divenuti meno permeabili. I flussi migratori ne hanno preso atto e ora dalla Grecia attraversano i Balcani per provare a entrare in Ungheria. Ma l’Italia resterà comunque la rotta preferita, e davanti allo spettacolo indecoroso degli egoismi di altri Paesi europei (escluse la Germania, la Svezia e la Francia) la nostra protesta dovrebbe assumere forme più concrete o almeno ottenere riconoscimenti dovuti.
Dietro i migranti c’è la Libia. Che ci minaccia in molti modi: con la presenza dell’Isis terrorista, con la guerra per bande che riduce i nostri rifornimenti energetici, con il gioco di sponda dei due governi e delle tante milizie armate che a turno bloccano, forse ancora per poco, l’inviato dell’Onu Bernardino Leon impegnato a formare un governo di unità nazionale teoricamente destinato a volgersi poi contro l’Isis. Il sequestro dei quattro italiani offre nuove occasioni (per esempio al governo di Tripoli) per avanzare richieste all’Italia.
Ma è proprio sulla linea seguita dall’Italia che è lecito avanzare qualche dubbio. Appoggiare Leon va bene, a condizione di essere consapevoli che un accordo cambierebbe pochissimo sul terreno. Ipotizzare pubblicamente vari e confusi livelli di aiuti o azioni militari ci toglie credibilità. Non siamo abbastanza attivi, invece, nel premere sui finanziatori del caos libico, dall’Egitto alla Turchia e dagli Emirati al Qatar. Eppure la guerriglia permanente libica è in gran parte questione di soldi, o di potere per controllare la distribuzione di soldi di varia origine. E la continua espansione dell’Isis (nel Sinai egiziano, in Tunisia, ora in Algeria oltre alla Libia) può offrire occasioni diplomatiche ghiotte, per esempio quando i tagliagole si scontrano con l’ex «quasi amica» Turchia come avviene in questi giorni. Ankara pensa alla Siria, ma noi dovremmo ricordarle che in Libia i suoi finanziamenti alimentano il caos e così aiutano l’Isis divenuto nemico. E se davvero si arriverà a sanzioni contro esponenti libici, a parte le forti perplessità sull’efficacia di un simile provvedimento, le applicheranno anche i signori dal borsellino facile? Davvero la Banca centrale potrà abbandonare la sua equidistanza senza essere data alle fiamme (si veda l’intervista di Paolo Valentino al ministro Gentiloni sul Corriere di ieri)?
Da Nord e da Sud, l’Italia è a rischio come non è mai stata dalla fine della Seconda guerra mondiale. I conflitti balcanici o la guerra in Libia del 2011 ci coinvolgevano, ma non ci minacciavano come accade oggi con questioni che vanno dalla «nuova» eurozona al terrorismo e alla pressione migratoria. Reagire significa individuare politiche efficaci, e darci un profilo riconoscibile e coerente a difesa dei nostri interessi e della nostra sicurezza.
fventurini500@gmail.com