IL RILANCIO DELL’ECOMMERCE SULLA SPESA ALIMENTARE
Non bisogna guardare all’andamento delle azioni perché quando salgono del 10% ti senti più intelligente del 10% ma quando scendono ti senti proporzionalmente più stupido, racconta spesso Jeff Bezos, fondatore e propietario del gruppo di ecommerce Amazon, ai propri dipendenti. Durante la scorsa settimana la filosofia di Bezos è stata messa a dura prova: in un’unica seduta il titolo è salito del 20%. Se gli azionisti non si saranno sentiti del 20% più intelligenti perlomeno si saranno sentiti del 20% più fortunati. Ma a parte la fortuna personale di Bezos e dei suoi soci in Borsa quello che sta accadendo dietro le azioni in crescita di Amazon riguarda un po’ tutti ed è la rivoluzione della spesa.
Nonostante la percezione comune, l’ecommerce, anche negli Usa, è rimasto fino ad oggi una bella promessa: solo poco più del 10 per cento del commercio al dettaglio personale viene concluso via Internet. Ancora poco. Questa industria spera di arrivare al 25% entro il 2022, ma l’unico modo per farlo è ridurre i tempi di attesa tra il clic sullo smartphone e la consegna del pacco in casa. Con gli ottimi risultati di vendita di Amazon il mercato ha iniziato a credere a quella lontana promessa e non è un caso che per la prima volta il gruppo di Bezos abbia ora superato, come capitalizzazione (non certo come fatturato), Wal Mart, la maggiore catena di vendita al dettaglio degli Stati Uniti.
Per fare il salto all’ecommerce manca ancora un tassello: la spesa alimentare. La scommessa non è solo nella logistica ma anche nell’assemblaggio, dove spuntano i robot: Amazon ha investito quasi un miliardo per acquistare i Kiva, i cosiddetti «robot di Babbo Natale», capaci di assemblare velocemente la busta della spesa acquistata in remoto. Solo così i gruppi di ecommerce riusciranno ad essere competitivi con lo scomodo ma efficiente modello dei negozi.
La battaglia del clic contro brick (mattone) non è senza conseguenze, anche da noi: MediaWorld è in difficoltà e non per il calo dei consumi degli italiani che sono stabili, ma per la lenta e inesorabile migrazione degli acquisti sul web.