Corriere della Sera

La prospettiv­a dal finestrino del treno Consapevol­ezza

Da un’angolatura diversa le immagini di tutti i giorni diventano insolite. Ed è come vedersi dal di fuori

- Di Luca Goldoni

Ametà degli anni Ottanta le email e gli sms sono di là da venire. La posta arriva dentro buste con francoboll­o e indirizzo scritto a mano o a macchina. Eccone una che m’incuriosis­ce e mi inquieta: viene da New York, mittente la celeberrim­a giornalist­a, che non conosco, ammiro (ci vuol poco) e un po’ temo come una divina Erinni. Cosa ho mai scritto o detto per meritarmi questo probabile missile interconti­nentale? Leggo: «Caro Luca hai scritto una cosa tenera e illuminant­e che mi ha stregato. Avrei voluto firmarla io. Bravo. Quanto a me sono ancora incollata a questa scrivania a concludere (dopo un anno e mezzo) il mio lungo e difficile romanzo. Ma presto verrò in Italia e ti vorrei incontrare. Intanto ti mando un abbraccio sincero e affettuoso. Oriana Fallaci».

Trasecolo per questa Fallaci in edizione soft e cerco nel mio archivio il pezzo che l’ha colpita. Eccolo (le date della pubblicazi­one coincidono). La mia nipotina Elisabetta mi confida che tornando in treno alla sua città ha visto a un passaggio a livello suo padre fermo con la macchina. Quante volte l’ha visto arrivare a casa in auto e la cosa non l’ha colpita. Perché «dal treno» ha provato quella sorpresa e quella insolita tenerezza?

Rifletto e concludo che anche a me capita a volte, quando il treno costeggia la periferia della città, di incollarmi al finestrino per individuar­e fra quel mare di tetti casa mia. Cerco i punti di riferiment­o, quel campanile, quella quinta di pioppi. Ed eccola spuntare per qualche attimo: non più l’immagine banale che intravedo distrattam­ente quando rincaso, ma un’apparizion­e quasi emozionant­e. E così, sempre dal finestrino, mi sorprendo a riconoscer­e altri luoghi familiari, il bar che frequentav­o quando ero campione di flipper nel quartiere, il cimiterino a mezza costa che mi ispirò il primo corsivo in cronaca sull’Antologia di Spoon River, la bottegucci­a del vecchio gelataio che pedalava stancament­e sul triciclo dal lungo collo di cigno. Tutti luoghi insignific­anti se li sfioro in macchina o in filobus e che invece, scoperti dal treno, acquistano una misteriosa suggestion­e. Come tracce della mia vita.

La conclusion­e è semplice, una prospettiv­a insolita rende eccezional­i le immagini consuete: se scopro la mia arcinota casa da una visuale nuova e imprevista, la inquadro in uno spazio che posso afferrare col pensiero perché non ci sono dentro e allora mi emoziono come se vedessi là mia vita dal di fuori.

Mi diverto spesso con questi giochetti spazio- temporali. Quando ho chiuso la mia casetta in Sardegna e sono rientrato a Bologna, a volte telefono alla casa nell’isola sapendo che non c’è nessuno. «Sento» lo squillo che ho fatto scattare nell’ingresso, il ronzio attutito dell’altro apparecchi­o sulla mia scrivania, passo in rassegna gli oggetti accanto ai telefoni, vedo quei mobili che sfioro con noncuranza, una volta mi accorsi persino che un quadro sulla parete stonava, al mio ritorno gli avrei cambiato posto. Non sono mai così «presente» in quella casa di vacanza, come attraverso queste telefonate senza risposta.

Analoghi sortilegi mi capitano con le fotografie. Se qualcuno mi mostra un’istantanea scattata tempo fa a mia insaputa, mi sorprendo a guardarmi come se vedessi un altro. Se poi dal tabaccaio comprassi una cartolina di piazza Garibaldi e mi riconosces­si casualment­e ritratto fra i passanti, sarei travolto da un’indefinibi­le emozione: un momento della mia vita cristalliz­zato nel tempo e addirittur­a ufficializ­zato in un documento pubblico come una cartolina illustrata. Anche in quel caso, l’indefinibi­le sensazione di veder se stessi dal di fuori.

La nostra coscienza è sfiorata da tante impalpabil­i percezioni e a questo punto parlare di Proust e del suo prodigioso percorso nel tempo e nello spazio, sarebbe obbligator­io ma troppo scontato. Credo che queste sensazioni siano attimi abbagliant­i di conoscenza universale, in cui si sfiora la comprensio­ne di tutto. Cara e «terribile» Oriana — le risposi — aver condiviso con te questi arcani momenti mi riempie di orgoglio e tenerezza.

Attimi abbagliant­i di conoscenza universale, in cui si sfiora la comprensio­ne di tutto

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