Processo Eternit bis
Giunto alla prima udienza, il processo Eternit-bis si è già fermato, con la sospensione ordinata dal gip Bompieri e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale chiamata a giudicare la legittimità costituzionale dell’art. 648 del codice di procedura penale che vieta di sottoporre ad un nuovo processo l’imputato già assolto o condannato per il medesimo fatto.
Si tratta del principio del «ne bis in idem», una regola di civiltà giuridica risalente al diritto romano (l’aveva enunciata già Cicerone), accolta da tutti gli ordinamenti moderni, e sancita altresì — in quello europeo — dall’art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, recepito dall’ art. 50 della Carta di Nizza, e dall’art. 54 dell’Accordo di Schengen del 1985. Secondo quanto riportato dai media il giudice Bompieri dubita che l’art. 648 sia costituzionalmente legittimo in quanto non consentirebbe di processare per la seconda volta l’ imprenditore svizzero Schmidheiny accusato, nel processo bis in corso, di omicidio con dolo eventuale di 258 persone decedute a causa dell’amianto sprigionatosi dalla fabbrica di via Oggero, e che nel precedente processo, dopo la condanna in corte d’appello a 18 anni di reclusione per disastro doloso con 2.889 vittime colpite da mesotelioma, in Cassazione il 19 novembre 2014 si era visto annullare senza rinvio la condanna per intervenuta prescrizione.
In realtà non si comprende con quali norme della Costituzione entri in conflitto l’art. 649 c.p.p. il quale si ricollega ad un altro principio-cardine del nostro ordinamento processuale, e cioè l’irrevocabilità/intangibilità della sentenza passata in giudicato (art. 648 c.p.p), sia di condanna (con il divieto di processare continuamente un cittadino con le stesse accuse), e sia di assoluzione (che attesta definitivamente la non colpevolezza dell’imputato restituendogli onore e dignità). In questa fase preliminare il gip doveva compiere un’unica, preliminare valutazione: accertare se nel «fatto-reato» (disastro doloso) contestato all’imputato nel primo processo erano compresi: a) la stessa condotta (uso letale dell’amianto); b) lo stesso evento (morte di 258 persone); c) lo stesso nesso causale, cioè tutti quei fattori che ora configurano l’imputazione di omicidio volontario nel processo bis.
Ove tale identità fosse stata confermata, il giudicante avrebbe dovuto emettere immediata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.
Viceversa se, come sembra, tale identità non fosse stata accertata, avrebbe dovuto procedere oltre. In entrambi i casi la Costituzione non c’entra, ma così i tempi della giustizia rischiano di allungarsi da qui a un anno: un’eternità per le vittime dei reati.
Nicola Ferri
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