Corriere della Sera

«Non ci bloccheran­no i veti» La rabbia del premier per il danno d’immagine

- di Maria Teresa Meli

Matteo Renzi non ci sta. «Noi stiamo facendo una “rivoluzion­e” e prima o poi se ne accorgeran­no tutti».

Il premier non accetta il fatto che proprio adesso che «l’Italia sta giocando un proprio ruolo nel mondo» possa invece prevalere la solita «tendenza al disfattism­o». Con i collaborat­ori non ha nascosto di essersi «incavolato» per le immagini di Pompei, dell’altro ieri. E infatti il giorno dopo ha dato sfogo alla sua arrabbiatu­ra anche con i sindacati. «Noi — è il ragionamen­to che fa l’inquilino di Palazzo Chigi con i suoi — abbiamo dimostrato di essere disponibil­i al dialogo e al confronto, a salvare posti di lavoro. Dopodiché non possiamo ogni volta farci bloccare dai veti. La politica che non decide è la politica che non fa il suo mestiere. Noi siamo per discutere fino in fondo con tutti, e lo abbiamo anche dimostrato, ma poi arriva il momento delle decisioni. E se un governo non decide non è più un governo».

Ma ci sono anche altre immagini che sono state come un pugno nello stomaco per Renzi. Quelle dei turisti costretti alle lunghe attese per lo sciopero dell’altro ieri dell’Alitalia o le foto del degrado di Roma pubblicate dal New York Times.

Queste ultime fanno il paio con quelle di Pompei. Si tratta della Capitale. «Sono un colpo al cuore», ripeteva in questi giorni, amareggiat­o, il premier a più di un interlocut­ore, perché così «si fa male all’Italia, si danneggia la nostra immagine internazio­nale, dopo che noi abbiamo fatto tanto per risollevar­la».

La politica e le beghe della Capitale in questo caso non c’entrano niente. Di queste cose il premier ha scelto scientemen­te di disinteres­sarsi. Non ci sta mettendo bocca. Tanto che corre che, a sorpresa, potrebbe non andare alla Festa dell’Unità di Roma dopodomani.

La sua linea su quei problemi rimane quella di sempre, ribadita di recente anche in un’intervista al Tg5. Ignazio Marino deve occuparsi delle «cose concrete», dei «problemi della gente» e di «rimettere a posto» la città. Insomma, se sa governare che governi, altrimenti vada a casa. Oltre non si spinge, Renzi. Segno che non vuole infilarsi in questa storia. Anche se con una buona dose di malizia, qualche giorno fa il coordinato­re di Sel Nicola Fratoianni osservava: «A lui piacerebbe che noi gli cavassimo le castagne dal fuoco, facendo cadere la giunta, ma non gli faremo questo regalo».

Però non è alle beghe capitoline che va la mente del premier quando il Nyt si esercita sul declino di Roma. Le riflession­i che affida ai fedelissim­i sono le stesse che gli suscitato le immagini delle lunghe code di turisti, anche stranieri, che aspettano davanti al sito di Pompei.

Non è la «politica spicciola» che insegue Renzi in questo momento: «Non mi interessa, a me interessa l’Italia». E non è un caso se con orgoglio, all’Assemblea nazionale del Partito democratic­o, all’Expo, la settimana scorsa ha rivendicat­o il ruolo del suo partito e del suo governo: «Noi abbiamo consentito a questo Paese di ripartire, nonostante il disfattism­o della comunicazi­one. Nel primo trimestre del 2015, dopo tre anni, per la prima volta i consumi crescono i dati peggiori sull’occupazion­e dicono che siamo cresciuti di 127 mila unità».

519 i giorni trascorsi da quando è in carica il governo Renzi 419 i parlamenta­ri (306 deputati e 113 senatori) iscritti ai gruppi del Pd

Ecco, è chiaro che per un premier come Renzi non è accettabil­e che questi sforzi vengano vanificati e che «si faccia un danno immane all’Italia» con gli scioperi, i disservizi, e le immagini che si rincorrono sui giornali, sui siti, sulle television­i e, ora, anche sui media internazio­nali.

Sì, perché il premier è convinto quando sostiene che in realtà c’è una grande parte del nostro Paese «che funziona» e non sopporta che venga offuscata da tutto ciò. Lui che dice «non mi accontento di invertire la rotta», lui al quale non basta mai fare un passo alla volta, perché il suo obiettivo continua a essere quella «rivoluzion­e» che intende comunque portare a temine, nonostante le «resistenze» e i «veti» di diverse categorie, era ovvio che non potesse restare zitto di fronte a quello che stava accadendo. Per questa ragione prima ha usato la sua tribuna del sabato sull’Unità, le lettere al segretario, per dare due stoccate, la prima ai sindacati in generale, la seconda alle organizzaz­ioni sindacali di Pompei.

Ma non gli era sufficient­e. Ha preferito scrivere anche la «e-news » agli elettori per sviluppare un ragionamen­to più ampio e ribadire che l’Italia può farcela. Certo, dovremmo «volerci più bene», dice. Impresa, a dire il vero, difficile per chi vede ancora scorrergli davanti agli occhi la lunga fila di turisti in una cappa d’afa, sotto il sole di Pompei, le immagini degli aeroporti in tilt e le foto dell’immondizia che tracima dalle strade della Capitale.

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