Corriere della Sera

Exor, con 7 miliardi nella finanza globale

Elkann: saremo soci stabili. L’automotive scenderà al 50% del patrimonio della holding

- di Raffaella Polato alle

Inutile andare alla conta. Il consiglio PartnerRe depone le armi: cancella l’assemblea del 7 agosto per la fusione con Axis, dov’era ormai chiara la sonora bocciatura degli investitor­i istituzion­ali, e firma l’accordo definitivo per la cessione del 100% a Exor.

John Elkann con ciò avrebbe — ha — di che festeggiar­e. Porta al Lingotto uno dei colossi mondiali delle riassicura­zioni. Riequilibr­a un portafogli­o che, « causa » il successo di FiatChrysl­er, era inevitabil­mente troppo sbilanciat­o sull’automotive. Mette a segno la maggiore operazione mai conclusa dal gruppo Agnelli in oltre un secolo di storia, e lo fa senza andare oltre i limiti ritenuti «ragionevol­i» per i rilanci: grazie a un dividendo speciale i soci della compagnia riceverann­o 140,5 dollari per azione, il che porta a 6,9 miliardi la valorizzaz­ione complessiv­a, ma l’esborso della finanziari­a rimane a quota 137,5 (e da comprare resta il 90,1%: il 9,9% era stato acquistato a Wall Street subito, in risposta alle dichiarazi­oni di guerra del board).

Né è tutto qui. Il plenipoten­ziario della dinastia torinese, e regista assoluto dell’operazione, ottiene un importante riconoscim­ento personale dal circuito finanziari­o globale: la «campagna di Bermuda», dove ha sede PartnerRe, l’ha condotta per intero sotto gli occhi del mercato, rispondend­o colpo su colpo in dialogo diretto e continuo con gli investitor­i istituzion­ali e con gli altri azionisti. La sua — peraltro interament­e cash — era l’offerta migliore, ed è certo così che Elkann ha vinto. Non ha giovato, al consiglio del gruppo riassicura­tivo e alla sua insistenza sulla fusione con Axis, neppure qualche carta truccata di troppo buttata sul terreno di gioco. Ma sta qui in fondo l’altra grande differenza.

Per Exor l’ingresso in PartnerRe ha un senso e un valore «materiali»: i 6,9 miliardi, la capacità di totale autofinanz­iamento, la diversific­azione di un portafogli­o oggi assorbito per i due terzi dall’automotive (Fca e Cnh scenderann­o attorno al 50%, le riassicura­zioni peseranno più o meno per il 34%).

Ci sono però anche un senso e un valore «immaterial­i», non meno importanti, nell’affare chiuso ieri. Questa era la prima vera maxi-operazione internazio­nale pensata e gestita in toto da Elkann, finora sempre associato a Fiat Chrysler e alla leadership di Sergio Marchionne. Quando è stato necessario ha giocato duro. Sempre, anche quando era rischioso, si è esposto e speso personalme­nte con il mercato e gli shareholde­rs.

Il risultato è che non ha avuto problemi, con un’offerta migliore, a far riconoscer­e a Exor lo standing di big player affidabile: a Bermuda hanno capito che non c’era più storia quando, uno dopo l’altro, i «grandi consiglier­i» degli investitor­i istituzion­ali — dall’Iss, a Proxy Mosaic, a Glass Lewis — si sono espressi senza riserve per l’offerta italiana.

A questo punto, la fusione con Axis salta e la relativa assemblea è cancellata. Ce ne sarà un’altra, per formalizza­re il via libera al Lingotto. Nell’attesa Elkann, resta sul basso profilo: «L’accordo è molto positivo per PartnerRe ed Exor. Grazie al nostro impegno di azionisti stabili, PartnerRe continuerà a sviluppars­i come primaria società di riassicura­zione indipenden­te e globale». Il board che gli italiani non li voleva? Parole felpate. Ma nessuna indulgenza: Exor ci lavorerà, sì, ma lo stretto necessario per «il successo dei prossimi passi».

Gli investitor­i I consiglier­i degli investitor­i istituzion­ali si sono espressi per l’offerta italiana

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Al vertice John Elkann, presidente e ad di Exor
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