Exor, con 7 miliardi nella finanza globale
Elkann: saremo soci stabili. L’automotive scenderà al 50% del patrimonio della holding
Inutile andare alla conta. Il consiglio PartnerRe depone le armi: cancella l’assemblea del 7 agosto per la fusione con Axis, dov’era ormai chiara la sonora bocciatura degli investitori istituzionali, e firma l’accordo definitivo per la cessione del 100% a Exor.
John Elkann con ciò avrebbe — ha — di che festeggiare. Porta al Lingotto uno dei colossi mondiali delle riassicurazioni. Riequilibra un portafoglio che, « causa » il successo di FiatChrysler, era inevitabilmente troppo sbilanciato sull’automotive. Mette a segno la maggiore operazione mai conclusa dal gruppo Agnelli in oltre un secolo di storia, e lo fa senza andare oltre i limiti ritenuti «ragionevoli» per i rilanci: grazie a un dividendo speciale i soci della compagnia riceveranno 140,5 dollari per azione, il che porta a 6,9 miliardi la valorizzazione complessiva, ma l’esborso della finanziaria rimane a quota 137,5 (e da comprare resta il 90,1%: il 9,9% era stato acquistato a Wall Street subito, in risposta alle dichiarazioni di guerra del board).
Né è tutto qui. Il plenipotenziario della dinastia torinese, e regista assoluto dell’operazione, ottiene un importante riconoscimento personale dal circuito finanziario globale: la «campagna di Bermuda», dove ha sede PartnerRe, l’ha condotta per intero sotto gli occhi del mercato, rispondendo colpo su colpo in dialogo diretto e continuo con gli investitori istituzionali e con gli altri azionisti. La sua — peraltro interamente cash — era l’offerta migliore, ed è certo così che Elkann ha vinto. Non ha giovato, al consiglio del gruppo riassicurativo e alla sua insistenza sulla fusione con Axis, neppure qualche carta truccata di troppo buttata sul terreno di gioco. Ma sta qui in fondo l’altra grande differenza.
Per Exor l’ingresso in PartnerRe ha un senso e un valore «materiali»: i 6,9 miliardi, la capacità di totale autofinanziamento, la diversificazione di un portafoglio oggi assorbito per i due terzi dall’automotive (Fca e Cnh scenderanno attorno al 50%, le riassicurazioni peseranno più o meno per il 34%).
Ci sono però anche un senso e un valore «immateriali», non meno importanti, nell’affare chiuso ieri. Questa era la prima vera maxi-operazione internazionale pensata e gestita in toto da Elkann, finora sempre associato a Fiat Chrysler e alla leadership di Sergio Marchionne. Quando è stato necessario ha giocato duro. Sempre, anche quando era rischioso, si è esposto e speso personalmente con il mercato e gli shareholders.
Il risultato è che non ha avuto problemi, con un’offerta migliore, a far riconoscere a Exor lo standing di big player affidabile: a Bermuda hanno capito che non c’era più storia quando, uno dopo l’altro, i «grandi consiglieri» degli investitori istituzionali — dall’Iss, a Proxy Mosaic, a Glass Lewis — si sono espressi senza riserve per l’offerta italiana.
A questo punto, la fusione con Axis salta e la relativa assemblea è cancellata. Ce ne sarà un’altra, per formalizzare il via libera al Lingotto. Nell’attesa Elkann, resta sul basso profilo: «L’accordo è molto positivo per PartnerRe ed Exor. Grazie al nostro impegno di azionisti stabili, PartnerRe continuerà a svilupparsi come primaria società di riassicurazione indipendente e globale». Il board che gli italiani non li voleva? Parole felpate. Ma nessuna indulgenza: Exor ci lavorerà, sì, ma lo stretto necessario per «il successo dei prossimi passi».
Gli investitori I consiglieri degli investitori istituzionali si sono espressi per l’offerta italiana