I pizzini del boss ora più vicino
Mafia, in arresto 11 fedelissimi del boss. I messaggi: «Sono il macellaio, c’è la fiorentina»
Undici arresti tra i fedelissimi del capomafia Matteo Messina Denaro, che nell’epoca di Internet comunica col sistema più antico e sicuro dell’onorata società: lettere e bigliettini da distruggere subito.
Si incontravano negli ovili, fuori dai caseifici, in aperta campagna, in mezzo alle sterpaglie, sotto le pale eoliche; utilizzavano ogni cautela per evitare le intercettazioni, consapevoli di avere «gli sbirri» alle calcagna. Ma non potevano fermarsi. «Siamo tutti guardati… l’altra mattina a Salemi due macchine c’erano... facevano sali e scendi, sali e scendi», disse un giorno uno della banda. E l’altro, quasi rassegnato: «Non è che uno si impressiona e non deve camminare più… se dobbiamo camminare dobbiamo camminare». Per proteggere la latitanza del Capo, garantirne il prestigio la guida di Cosa nostra.
Gli investigatori del Servizio centrale operativo della polizia ne hanno controllato ogni mossa, cercando di carpirne i discorsi, e quando non sono riusciti a utilizzare le microspie li hanno inseguiti con le telecamere. Nel tentativo di acchiappare il filo che porta all’ultimo grande ricercato per mafia: Matteo Messina Denaro. Convinti che quel gruppo di «uomini d’onore» raccogliesse i pizzini da recapitare al boss stragista in fuga dal 1993 e portasse indietro le risposte. Per risolvere le questioni interne alle cosche e portare avanti gli affari. Ma adesso, dopo quasi quattro anni di indagini che hanno dato ai magistrati la certezza di questa attività nel periodo 2011-2014, la Procura di Palermo ha deciso di smantellare il circuito postale messo in piedi dal capomafia. Il quale, dopo l’arresto di Provenzano ha rafforzato il proprio potere sul territorio di origine, la provincia di Trapani, e l’ha esteso all’area palermitana «in deroga al vigente e categorico precetto mafioso della rigida suddivisione delle competenze territoriali».
Così scrivono gli inquirenti nell’ordine di arresto che ha portato in carcere un anziano pregiudicato di 77 anni, Vito
Il blitz Catturati i postini che garantivano al super latitante i collegamenti con il mondo esterno Gli appoggi Gli inquirenti: «Gode di protezioni di alto livello». L’ipotesi che si muova anche all’estero
Gondola, considerato capo del mandamento mafioso di Mazara del Vallo. Abituato a trafficare con pecore e formaggi, s’incontrava e tramava con un altro degli arrestati, molto diverso per età e professione: Giovanni Scimonelli, 48 anni, proprietario di due supermercati Despar nel trapanese, il quale dopo le riunioni clandestine (o subito prima) cambiava abito e volava nel Nord Italia, a Milano o in Veneto, o nella natia Svizzera, dove si dedicava a coltivare business e guadagni.
Il pastore e l’imprenditore rappresentano le due anime della latitanza ultraventennale di Messina Denaro, boss di nuova generazione che tiene insieme le regole della mafia di ieri con le esigenze di quella di oggi. «Gode di protezioni di alto livello», accusa il procuratore aggiunto Teresa Principato, ed è possibile che trascorra alcuni periodi all’estero. Tuttavia, nell’epoca di Internet e delle più avanzate tecnologie, non ri- nuncia a comunicare con il sistema più antico e considerato più sicuro nell’onorata società: lettere e bigliettini da distruggere subito dopo la lettura, raccolti e distribuiti attraverso canali preventivamente individuati dal boss. Inoltre le consegne non avvengono in maniera diretta, ma nascondendo i pizzini in qualche anfratto dove una staffetta va a recuperarli per fargli fare la tratta successiva. Il tutto a scadenze il più possibile regolari.
Nelle telefonate registrate dalla polizia, i «postini» utilizzavano mezze frasi e linguaggi convenzionali per avvisare che c’era corrispondenza da ritirare e smistare. Gondola convocava i suoi uomini (in carcere sono finiti altri nove intermediari, tra cui gli agricoltori Michele Gucciardi e Michele Terranova che parlavano spesso al telefono col pastore) evocando fantasiose consegne di favino (un’erba utilizzata come foraggio per animali) e sulla (una leguminosa che cresce spontanea nei campi), mangimi, concime e forbici da tosa.
«Zù Vito io il favino l’ho insaccato ieri sera», gli comunica Terranova la mattina del 27 giugno 2013. «Portamelo il più presto possibile, Michè», ordina Gondola. «E dove ci vediamo, sempre lì in campagna?». «Dove hai le pecore tu». I due s’incontrano l’indomani, e i poliziotti riprendono Gondola che nasconde qualcosa sotto un masso, nella spianata vicino a un casolare. Lì doveva andare a prenderlo Gucciardi, ma l’appuntamento salta. Allora Gondola torna a recuperare l’involucro e l’incontro con Gucciardi è rinviato al giorno dopo, in mezzo alla vegetazione di un’altra campagna.
Che le misteriose consegne fossero di pizzini provenienti e destinati al super-latitante, gli inquirenti l’hanno dedotto dai colloqui intercettati; mezze frasi che messe insieme svelano il sistema di fermo-posta al servizio di Messina Denaro: «Da Mazara chiamo, il macellaio sono, mi aveva ordinato la fiorentina, si ricorda? Domani alle 9.30 se la può venire a prendere»; «Entro il 15 queste cose devono partire… » ; « Minchia… questo tempo per scrivere… capace che tarda a scrivere»; «Ci si deve dare la risposta… vuole la risposta»; «Quello di Salemi… ha scritto»; «Tu segui quello che c’è scritto… e ci mettiamo al sicuro…»; «Me l’ha portata aperta e mi ha detto “leggila”… c’erano cose familiari»; «Mi avevano detto entro la fine del mese arrivano», e così via.
Nelle pieghe dell’inchiesta, gli investigatori hanno registrato anche conversazioni che si riferiscono a dissidi economici con le famiglie mafiose di Marsala, e un interlocutore di Gondola, a dicembre 2012, accenna alla possibile presenza in zona del ricercato: «Ma a Matteo Messina Denaro non ci sono potuti arrivare?». Gondola sembra fingere di non capire: «Chi? E dove?». Quello insiste: «Matteo ddocu è» (è lì, ndr), ma Gondola taglia corto: «Eh… c’era». Arrestati i postini, le indagini proseguono per capire dove si nasconde adesso.