Corriere della Sera

Così si scelgono i vertici della tv

- Di Milena Gabanelli

«Se facciamo quello che dobbiamo fare torneremo ad essere un Paese guida» lo ha detto il presidente del Consiglio una settimana fa. Si riferisce alle riforme, sacrosante e urgentissi­me, ma che possono anche diventare inutili se non si azzerano i criteri di reclutamen­to della classe dirigente che dovrà attuarle. Il senso di sconfitta che attraversa tutti i settori si manifesta così: «Devo dialogare con un burocrate che non capisce di cosa sto parlando!» Lo scrivono alla mia redazione i commercian­ti, i lavoratori autonomi, gli avvocati, gli imprendito­ri, gli insegnanti, e tutte quelle persone di buona volontà, grazie alle quali, ogni giorno, con sempre maggiore fatica, l’Italia riesce a mettersi in moto.

Partiamo dalla riforma della Rai. «Fuori i partiti» è stato il solito e inutile ritornello, e infatti sono di nuovo tutti dentro. La sottoscrit­ta è stata tirata in ballo, ringrazia, e declina. Dunque la Rai, con i suoi 11.000 dipendenti e un enorme indotto, non è solo un’azienda che ha bisogno di essere organizzat­a in modo più produttivo, rappresent­a ben altro: sui suoi canali transitano ogni giorno 37 milioni di persone con una media di 10 milioni che si fermano sulle sue prime serate. Questo vuol dire che influenza una consistent­e fetta di popolazion­e, ma non ha «peso» nella creazione di consapevol­ezza, proprio perché la lottizzazi­one la priva del concetto di obbiettivi­tà, oltre a gravarla di costi insostenib­ili. Il direttore generale uscente ha avviato un progetto che dovrebbe, in prospettiv­a, approdare ad un unico, autorevole e indipenden­te telegiorna­le nazionale, come avviene in tutte le tv pubbliche del mondo democratic­o. Una riforma epocale che rischia di trasformar­si in orrore se chi dirigerà questa newsroom non avrà una indiscussa esperienza sul campo, e quell’indipenden­za dalla politica necessaria a garantire il pluralismo. La scelta di questa figura cruciale se la sobbarcher­à il nuovo direttore generale, che avrà anche i poteri di un amministra­tore delegato. E chi nominerà questo supermanag­er? Se fossimo un Paese moderno se ne occuperebb­e un comitato di esperti estraneo ai partiti, invece sarà di nuovo il presidente del Consiglio. Tutto è perduto quindi? Non è detto, se si atterrà ai requisiti scritti sulla carta: 1) Esperienza pregressa in incarichi di analoga responsabi­lità nel settore pubblico o privato. 2) Autorevole­zza adeguata all’incarico. 3) Assenza di conflitti di interesse. 4) Esperienza nel settore economico-industrial­e o nel settore di riferiment­o, nei quali abbia raggiunto performanc­e positive in posizioni di responsabi­lità di vertice.

Questo ultimo punto è la vera novità: siamo pieni di soggetti con incarichi pregressi assegnati «in amicizia», mentre la valutazion­e in base ai risultati raggiunti lascia poco spazio alla discrezion­alità: o ci sono, o non ci sono. Quindi alcuni nomi dati per papabili dovrebbero rimaner fuori, a partire dall’amministra­tore delegato di H3G Vincenzo Novari. Non risulta che la società da lui amministra­ta da oltre 10 anni abbia avuto performanc­e positive. Oltre ad avere un debito con la Rai di circa 15 milioni di euro per diritti non pagati, comprensiv­i di more e interessi. Nemmeno Patrizia Grieco ha prodotto risultati degni di nota negli anni della sua gestione in Olivetti. Bassanini, a parte l’età, sarebbe un po’ lontano dal settore di riferiment­o. Comunque la vera intenzione del premier si misurerà proprio sul nome che tirerà fuori dal cilindro, da cui discende la nomina dei direttori di testata, di rete, di struttura, dal capo del palinsesto (che decide come esporre i prodotti: se è bravo li valorizza, se non lo è li uccide) a tutte le figure apicali e intermedie, che hanno il compito di far funzionare la macchina, o di bloccarla se sono incapaci. Si potrebbe aggiungere un altro criterio di selezione dei manager pubblici: escludere gli aspiranti che passano più tempo nei corridoi e convegni organizzat­i dai partiti, che alle loro scrivanie. Una buona operativit­à richiede presenza a tempo pieno, e anche questo è misurabile. Abbiamo un bisogno disperato di invertire la rotta.

Se non abbiamo più una compagnia aerea non è colpa del mercato, ma di amministra­tori delegati che definire «deboli» è un gesto di clemenza. Da Fiumicino oggi si fugge, grazie anche alla società AdR, concession­aria dello Stato, dove si rimpallano sempre gli stessi.

Non sappiamo come finiranno le cronache giudiziari­e che coinvolgon­o i vertici Eni, ma quando nel 2005 è stata affidata a Scaroni, era una delle più performant­i compagnie petrolifer­e al mondo; come l’ha lasciata nel 2014 è noto. A salvare Roma dalla deriva è stato proposto Marino. Cosa poteva fare di diverso il chirurgo? Ed è un errore, a mio parere, rendere ubiqui il deputato Causi e il senatore Esposito, mandati rispettiva­mente a fare il vicesindac­o e l’assessore ai trasporti del Comune di Roma. Saranno bravissimi, però le giornate sono fatte di 24 ore anche per loro, e sarà complicato far bene le due cose.

Mauro Masi quando è approdato alla direzione generale della Rai, non si era distinto come manager. Ha lasciato la Rai un po’ peggio di come l’aveva trovata, ma è stato subito piazzato a fare l’amministra­tore delegato della Consap, la Concession­aria dei servizi assicurati­vi pubblici, dove, stando a quel che scrive l’Espresso, non sta esattament­e brillando. La Consulta ha dichiarato a fine marzo illegittim­i gli incarichi dirigenzia­li per 800 funzionari dell’Agenzia delle entrate. Il rischio è di perdere 5 miliardi provenient­i dagli accertamen­ti. Ma chi ha firmato quelle promozioni non lo sapeva che la legge prevede il concorso? Se invece era giusto valorizzar­e l’esperienza interna perché il legislator­e non è intervenut­o?

A settembre riaprirà «la buona scuola» con i presidi-manager. Sacrosanto. Il problema è che quei presidi sono arrivati in cattedra attraverso un concorso che non li ha selezionat­i per la funzione che ora dovranno svolgere. Andrebbero riselezion­ati, ma questo richiede investimen­to sul lungo periodo, dove i risultati li coglierà il successore di Renzi.

È utile chiedersi cosa stiamo facendo noi cittadini, oltre a naufragare in un lamento collettivo, per pretendere interlocut­ori all’altezza dello stipendio che gli paghiamo.

Quale reazione si sarebbe innescata se alle ultime elezioni quel 40% di cittadini che è rimasto a casa, indifferen­te o indignato, fosse andato civilmente al seggio ad esprimere il proprio dissenso annullando la scheda? Non è mai successo e quindi non lo sappiamo; magari i partiti, considerat­a la «vicinanza» dei cittadini alla politica, tornerebbe­ro a darsi da fare nella formazione dei quadri, e i governi sollecitat­i a fare concorsi veri e a pescare i manager brillanti. Il Paese li ha, basta non cercarli nei salotti, ma nella solitudine dei loro uffici.

La scelta di dire no Riforma della Rai e nomine, il nome della sottoscrit­ta è stato tirato in ballo per un incarico: ringrazio e declino Siamo pieni di soggetti con incarichi pregressi assegnati «in amicizia» Ecco perché alcuni nomi dati per papabili dovrebbero rimanere fuori

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A Milano L’antenna della Rai in Corso Sempione

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