Così si scelgono i vertici della tv
«Se facciamo quello che dobbiamo fare torneremo ad essere un Paese guida» lo ha detto il presidente del Consiglio una settimana fa. Si riferisce alle riforme, sacrosante e urgentissime, ma che possono anche diventare inutili se non si azzerano i criteri di reclutamento della classe dirigente che dovrà attuarle. Il senso di sconfitta che attraversa tutti i settori si manifesta così: «Devo dialogare con un burocrate che non capisce di cosa sto parlando!» Lo scrivono alla mia redazione i commercianti, i lavoratori autonomi, gli avvocati, gli imprenditori, gli insegnanti, e tutte quelle persone di buona volontà, grazie alle quali, ogni giorno, con sempre maggiore fatica, l’Italia riesce a mettersi in moto.
Partiamo dalla riforma della Rai. «Fuori i partiti» è stato il solito e inutile ritornello, e infatti sono di nuovo tutti dentro. La sottoscritta è stata tirata in ballo, ringrazia, e declina. Dunque la Rai, con i suoi 11.000 dipendenti e un enorme indotto, non è solo un’azienda che ha bisogno di essere organizzata in modo più produttivo, rappresenta ben altro: sui suoi canali transitano ogni giorno 37 milioni di persone con una media di 10 milioni che si fermano sulle sue prime serate. Questo vuol dire che influenza una consistente fetta di popolazione, ma non ha «peso» nella creazione di consapevolezza, proprio perché la lottizzazione la priva del concetto di obbiettività, oltre a gravarla di costi insostenibili. Il direttore generale uscente ha avviato un progetto che dovrebbe, in prospettiva, approdare ad un unico, autorevole e indipendente telegiornale nazionale, come avviene in tutte le tv pubbliche del mondo democratico. Una riforma epocale che rischia di trasformarsi in orrore se chi dirigerà questa newsroom non avrà una indiscussa esperienza sul campo, e quell’indipendenza dalla politica necessaria a garantire il pluralismo. La scelta di questa figura cruciale se la sobbarcherà il nuovo direttore generale, che avrà anche i poteri di un amministratore delegato. E chi nominerà questo supermanager? Se fossimo un Paese moderno se ne occuperebbe un comitato di esperti estraneo ai partiti, invece sarà di nuovo il presidente del Consiglio. Tutto è perduto quindi? Non è detto, se si atterrà ai requisiti scritti sulla carta: 1) Esperienza pregressa in incarichi di analoga responsabilità nel settore pubblico o privato. 2) Autorevolezza adeguata all’incarico. 3) Assenza di conflitti di interesse. 4) Esperienza nel settore economico-industriale o nel settore di riferimento, nei quali abbia raggiunto performance positive in posizioni di responsabilità di vertice.
Questo ultimo punto è la vera novità: siamo pieni di soggetti con incarichi pregressi assegnati «in amicizia», mentre la valutazione in base ai risultati raggiunti lascia poco spazio alla discrezionalità: o ci sono, o non ci sono. Quindi alcuni nomi dati per papabili dovrebbero rimaner fuori, a partire dall’amministratore delegato di H3G Vincenzo Novari. Non risulta che la società da lui amministrata da oltre 10 anni abbia avuto performance positive. Oltre ad avere un debito con la Rai di circa 15 milioni di euro per diritti non pagati, comprensivi di more e interessi. Nemmeno Patrizia Grieco ha prodotto risultati degni di nota negli anni della sua gestione in Olivetti. Bassanini, a parte l’età, sarebbe un po’ lontano dal settore di riferimento. Comunque la vera intenzione del premier si misurerà proprio sul nome che tirerà fuori dal cilindro, da cui discende la nomina dei direttori di testata, di rete, di struttura, dal capo del palinsesto (che decide come esporre i prodotti: se è bravo li valorizza, se non lo è li uccide) a tutte le figure apicali e intermedie, che hanno il compito di far funzionare la macchina, o di bloccarla se sono incapaci. Si potrebbe aggiungere un altro criterio di selezione dei manager pubblici: escludere gli aspiranti che passano più tempo nei corridoi e convegni organizzati dai partiti, che alle loro scrivanie. Una buona operatività richiede presenza a tempo pieno, e anche questo è misurabile. Abbiamo un bisogno disperato di invertire la rotta.
Se non abbiamo più una compagnia aerea non è colpa del mercato, ma di amministratori delegati che definire «deboli» è un gesto di clemenza. Da Fiumicino oggi si fugge, grazie anche alla società AdR, concessionaria dello Stato, dove si rimpallano sempre gli stessi.
Non sappiamo come finiranno le cronache giudiziarie che coinvolgono i vertici Eni, ma quando nel 2005 è stata affidata a Scaroni, era una delle più performanti compagnie petrolifere al mondo; come l’ha lasciata nel 2014 è noto. A salvare Roma dalla deriva è stato proposto Marino. Cosa poteva fare di diverso il chirurgo? Ed è un errore, a mio parere, rendere ubiqui il deputato Causi e il senatore Esposito, mandati rispettivamente a fare il vicesindaco e l’assessore ai trasporti del Comune di Roma. Saranno bravissimi, però le giornate sono fatte di 24 ore anche per loro, e sarà complicato far bene le due cose.
Mauro Masi quando è approdato alla direzione generale della Rai, non si era distinto come manager. Ha lasciato la Rai un po’ peggio di come l’aveva trovata, ma è stato subito piazzato a fare l’amministratore delegato della Consap, la Concessionaria dei servizi assicurativi pubblici, dove, stando a quel che scrive l’Espresso, non sta esattamente brillando. La Consulta ha dichiarato a fine marzo illegittimi gli incarichi dirigenziali per 800 funzionari dell’Agenzia delle entrate. Il rischio è di perdere 5 miliardi provenienti dagli accertamenti. Ma chi ha firmato quelle promozioni non lo sapeva che la legge prevede il concorso? Se invece era giusto valorizzare l’esperienza interna perché il legislatore non è intervenuto?
A settembre riaprirà «la buona scuola» con i presidi-manager. Sacrosanto. Il problema è che quei presidi sono arrivati in cattedra attraverso un concorso che non li ha selezionati per la funzione che ora dovranno svolgere. Andrebbero riselezionati, ma questo richiede investimento sul lungo periodo, dove i risultati li coglierà il successore di Renzi.
È utile chiedersi cosa stiamo facendo noi cittadini, oltre a naufragare in un lamento collettivo, per pretendere interlocutori all’altezza dello stipendio che gli paghiamo.
Quale reazione si sarebbe innescata se alle ultime elezioni quel 40% di cittadini che è rimasto a casa, indifferente o indignato, fosse andato civilmente al seggio ad esprimere il proprio dissenso annullando la scheda? Non è mai successo e quindi non lo sappiamo; magari i partiti, considerata la «vicinanza» dei cittadini alla politica, tornerebbero a darsi da fare nella formazione dei quadri, e i governi sollecitati a fare concorsi veri e a pescare i manager brillanti. Il Paese li ha, basta non cercarli nei salotti, ma nella solitudine dei loro uffici.
La scelta di dire no Riforma della Rai e nomine, il nome della sottoscritta è stato tirato in ballo per un incarico: ringrazio e declino Siamo pieni di soggetti con incarichi pregressi assegnati «in amicizia» Ecco perché alcuni nomi dati per papabili dovrebbero rimanere fuori