Corriere della Sera

Conso, il giurista che cercava le vie d’uscita politiche

- di Giovanni Bianconi

È stato un maestro del Diritto il professor Giovanni Conso, morto ieri all’età di 93 anni; uno studioso che ha attraversa­to le università, le commission­i di riforma dei codici, l’Accademia dei Lincei e le più alte istituzion­i: il Consiglio superiore della magistratu­ra, del quale fu anche vice-presidente, e la Corte costituzio­nale, di cui fu eletto presidente. Una vita spesa per una procedura penale efficiente e garantista insieme, come ricorda l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano: «Ha lasciato un segno elevato e duraturo per la nobiltà e disinteres­sata dedizione all’interesse generale del Paese e alla causa della democrazia costituzio­nale».

Ma in una carriera così lunga e intensa, è l’anno da Guardasigi­lli, dal febbraio 1993 al maggio 1994, ad aver segnato più di ogni altra attività la sua immagine pubblica. Una breve parentesi in un periodo, la transizion­e dalla Prima alla Seconda Repubblica, segnato da eventi clamorosi e drammatici: da Mani Pulite allo stragismo mafioso. Di entrambi i passaggi il ministro Conso è stato protagonis­ta, sul momento e in seguito, fino a ritrovarsi indagato per «false comunicazi­oni al pubblico ministero» nell’inprofondo. chiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia.

È la storia ormai nota degli oltre 300 decreti di «carcere duro» non prorogati ad altrettant­i detenuti, a novembre 2013. Un segnale della disponibil­ità dello Stato ad arretrare di fronte al ricatto mafioso — secondo l’accusa —, per fermare le bombe e porre le basi di un nuovo patto di convivenza con i boss. A tutto questo l’ex ministro Conso s’è sempre dichiarato estraneo, sostenendo che fu una sua decisione presa «in solitudine», senza alcun mercantegg­iamento: «L’idea di una vicinanza mafiosa mi offende nel Dopo tutta una vita dedicata al diritto, sentirmi sospettato di aver trattato... Ma nemmeno lontanamen­te, abbiate pazienza!”, sbottò davanti alla corte d’assise di Firenze. Lo scorso 3 febbraio doveva comparire al processo di Palermo, ma le condizioni di salute già critiche glielo impedirono.

Nella ricostruzi­one di Conso sono rimasti passaggi poco chiari e interrogat­ivi senza risposta (non solo da parte sua), ed è probabile che nella sua concezione di ministro responsabi­le dei propri atti ci fosse l’idea di trovare soluzioni mediate (oltre che meditate) che potessero garantire la tenuta delle istituzion­i; indipenden­temente da minacce o altro. Come tentò di fare con l’altra grande emergenza di quella tormentata stagione: il decreto per una «uscita politica» da Tangentopo­li, con la depenalizz­azione retroattiv­a del finanziame­nto illecito dei partiti. Una mossa bloccata dopo che i magistrati di Mani Pulite presero le distanze e il presidente della Repubblica Scalfaro pose il proprio veto.

Da non politico, il professor Conso cercava vie d’uscite politiche alle crisi che si trovò a fronteggia­re, finendo per rimanere impigliato in polemiche che — rivestiti i panni dello studioso — a tanti anni di distanza faticava persino a comprender­e. E come lui tanti giuristi, magistrati, allievi e estimatori che da ieri lo piangono con commozione e gratitudin­e.

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