Corriere della Sera

«Rivogliamo il Cocoricò» L’appello di 50 mila ragazzi

Sfida in Rete tra innocentis­ti e colpevolis­ti. Il gestore De Meis: così falliamo

- DAL NOSTRO INVIATO Andrea Pasqualett­o © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Non è il Bulldog di Amsterdam e non è il Berghain di Berlino». «Nessun mercato della droga». «Brava, e neanche del sesso». E non è neppure una discoteca: «Siamo il teatro mondiale di un certo mondo, di una musica e di artisti unici…». E avanti così con 50 mila ragazzi che invadono la Rete a suon di clic per chiedere una sola cosa: «Riapriamo il Cocoricò». Una cittadella virtuale con un sindaco reale, Fabrizio De Meis, gestore della struttura: «Chiudere oggi per quattro mesi significa chiudere per sempre senza che la cosa serva a combattere la cultura dello sballo».

Dall’altra parte, invece, il popolo dei genitori, dei questori, dei sindaci, dei procurator­i, di chi controlla e scuote la testa: «Basta con questi locali che fanno morti e feriti». L’Italia si spacca sulle notti dei giovani. Di qua gli innocentis­ti, di là i colpevolis­ti. I primi urlano «bacchetton­i» e rivogliono le loro sale, i secondi sospirano e plaudono al pugno di ferro voluto da Riccione ricordando la lista nera del Cocoricò: tre morti, un trapiantat­o, altri in

Concordo con la chiusura, bisogna che i gestori investano di più sulla prevenzion­e, devono capire che conviene anche a loro, perché le chiusure costano Paolo Giovagnoli procurator­e di Rimini

rianimazio­ne (il ragazzo di 17 anni di Como che ha rischiato il trapianto di fegato non fa parte del bilancio perché non era qui quella sera, come aveva raccontato lui, ma a un rave party a Torino). E anche loro, seppure meno energicame­nte, presenti sul web con qualche hashtag: #4mesisonpo­chi. Insomma, due generazion­i a confronto, con molte eccezioni. Come i lavoratori del litorale romagnolo che intorno e dentro il Cocoricò hanno costruito le loro profession­i. La discoteca dà lavoro a circa 200 persone, ma nel corso degli anni ha sviluppato un indotto enorme diventando una grande fabbrica del divertimen­to e del turismo che alimenta il fatturato di bar, ristoranti, acquafan, tassisti, albergator­i. Una fabbrica finita sotto i riflettori della Guardia di Finanza perché risultereb­be non fare utili, il che ha spinto la procura di Rimini a vederci chiaro e la Guardia di Finanza a indagare su un’evasione di oltre 10 milioni di euro.

Ma al di là delle inchieste penali e dei provvedime­nti di sospension­e, emerge lo scontro ideologico. Che ha comunque un punto di convergenz­a: «Bisogna fare qualcosa». Lo stesso procurator­e di Rimini, Paolo Giovagnoli, è sceso ieri in campo con una telefonata dalle vacanze: «Concordo con la chiusura, bisogna che i gestori investano di più sulla prevenzion­e, devono capire che conviene anche a loro, perché le chiusure costano».

A De Meis è venuta un’idea: «Propongo Daspo per chi spaccia e tamponi per chi entra. Se non prendono decision i importanti fatti luttuosi come quelli del sedicenne morto per ecstasy purtroppo continuera­nno. Se non rientrerà la sospension­e dovremmo alzare bandiera bianca perché avremo una perdita di 1,5-2 milioni di euro». E preannunci­a il ricorso al Tar. I ragazzi sono con lui, almeno sull’obiettivo finale: riaprire. I genitori no: solo se cambia davvero, mah.

La smentita Il 17enne di Como che ha rischiato il trapianto di fegato non era lì, ma a un «rave» a Torino

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La difesa Fabrizio De Meis, uno dei proprietar­i del Cocoricò, ieri in conferenza stampa per difendere la discoteca

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