L’ascesa di Corbyn il rosso Se il Labour diventa una Syriza in salsa british
Blairiani e sinistra tradizionale alleati tentano di bloccarlo
chi sarà la guida del partito nei prossimi cinque anni. Al punto che i sondaggi interni danno il sessantaseienne di Chippenham, ex sindacalista nel settore pubblico, favoritissimo nella corsa.
Che sia un modo per allarmare gli incerti o che sia un modo di esorcizzare il pericolo rosso, la realtà è che nel lessico inglese sono entrati due termini di ultimo conio: «corbynmania» (copyright del Financial Times) e « corbynisti » (copyright dell’Observer) che derivano da «corbynismo», la versione britannica di Syriza e Podemos. Il laburismo è a rischio di una inaspettata mutazione.
Jeremy Corbyn non è un violento parolaio. Ha modi soft, è garbato. Non è neppure un pupazzo costruito dalle televisioni. Ha una storia immacolata, che gli riconoscono persino i tory, ed è una storia di militanza al servizio della causa. Soprattutto è uno che va controcorrente. Non ha paura a definire amici i palestinesi di Hamas. È deputato da 32 anni, sempre eletto nella circoscrizione di Islington Nord, e dal 1997, da quando il laburismo ha sterzato al centro, ha votato 500 volte ai Comuni contro le indicazioni del partito. Poi è un repubblicano a carati pieni. Guai a parlargli della regina. Un eretico. Ma rispettato.
Con un tale pedigree politico sarebbe scontato appiccicargli l’etichetta di ultimo rudere del sinistrismo radicale e schematico, così schematico da portarlo a dividersi dalla moglie perché lei voleva iscrivere i tre figli alle «grammar school», le scuole più selettive del Regno. Questi «vizi» di origine non li ha di certo cancellati. Ma li ha corretti. Prima con la tranquilla coerenza che ha sempre sfoggiato. Poi, da ultimo, sposando nuove tensioni sociali: il movimentismo ecologista e l’associazionismo del volontariato.
E ne è nato, spontaneo, un