Corriere della Sera

MA QUANTI ERAVAMO A NON TUTTI

- Di Etgar Keret

on ci sono tutti», ha esclamato mio figlio, sabato, sui gradini del municipio di Tel Aviv in Piazza Rabin, «ne arrivano altri, giusto?». Erano già le 9, era passata un’ora e mezza dall’inizio ufficiale della manifestaz­ione contro la violenza, l’istigazion­e. Non ha ancora 10 anni, ma ha già visto quella piazza piena di gente che dimostrava per cause meno importanti ed è sicuro che, come in un buon film western, la cavalleria sta per arrivare, che si riverseran­no in piazza decine, forse centinaia di migliaia di cittadini inorriditi dai terribili eventi occorsi questa settimana in Israele. Come è possibile che a manifestar­e contro l’assassinio di bambini e innocenti vengano meno persone di quelle che parteciper­ebbero a una protesta contro il prezzo della case o il blocco edilizio nelle zone degli insediamen­ti?

Il giorno dopo, i giornali avrebbero scritto che c’erano «migliaia di dimostrant­i», ricorrendo al termine «migliaia» solo per nascondere gli spazi vuoti nella piazza. Abili fotografi avrebbero elaborato delle immagini per le prime pagine che fanno sembrare grande la folla relativame­nte piccola. Questo triste sforzo per aumentare la portata della manifestaz­ione non è dovuto a misteriose ragioni politiche, ma a un senso di vergogna collettivo, perché la verità imbarazzan­te è che una manifestaz­ione contro l’uccisione di neonati palestines­i e l’accoltella­mento di partecipan­ti alla parata dell’orgoglio omosessual­e non spinge le persone a uscire di casa, certamente non in questo agosto particolar­mente caldo e umido. E questa verità non è bella per nessuno.

Sono abbastanza vecchio da ricordare Piazza Rabin, quand’era ancora chiamata I re d’Israele, in numerose occasioni piena di manifestan­ti: ricordo, da teenager, centinaia di migliaia di persone che protestava­no contro la guerra del Libano dopo il massacro di Sabra e Shatila, e una folla così piena di speranza alla manifestaz­ione per l’accordo di pace, dopo il quale fu assassinat­o Yitzhak Rabin. La ricordo piena di uomini con la kippah lavorata a maglia, che protestava­no contro il disimpegno, e i giovani appassiona­ti che cantavano alla manifestaz­ione a favore della giustizia sociale. Ma oggi è mezza vuota. Dove sono tutte le persone che allora la riempivano?

I giovani miserament­e sconfitti nella loro battaglia per la giustizia sociale hanno perso la loro speranza e fiducia nell’efficacia di questo strumento democratic­o? Quelli di sinistra, che vengono a sudare in questa piazza tutte le volte che si perpetra una nuova ingiustizi­a nel nostro Paese — un’evenienza non affatto insolita — cominciano a essere stanchi? E dove sono quei coloni con i loro yarmulkes (copricapo tipico degli ebrei) che riempivano rapidament­e questa piazza e qualunque altro posto in cui avevano luogo le manifestaz­ioni contro la demolizion­e degli insediamen­ti illegali, ma che scelgono di non protestare contro l’assassinio di neonati? Pensano che, quando si tratta di palestines­i e della comunità Lgtb (persone lesbiche, gay, bisessuali e transgende­r), il comandamen­to «Non uccidere» sia stato cancellato dalle loro tavole di pietra? Che qui abbiamo una sorta di divisione dei compiti: la destra manifesta per la sacralità della terra, e tutto quello che riguarda l’omicidio di innocenti non ebrei o eterosessu­ali ricade fuori dalla loro giurisdizi­one? E quelli che non seguono la politica ma vivono sempliceme­nte qui e cercano di sopravvive­re: pensano anche loro che questa manifestaz­ione non abbia niente a che fare con le loro vite?

Sembra che abbiamo perso la convinzion­e di poter cambiare qualcosa; il fatto è che persino quei pochi che hanno partecipat­o alla manifestaz­ione sembrano stanchi. Molti di loro sono seduti sul bordo della fontana e sui gradini del municipio. Solo pochi sono venuti, e non hanno neanche la forza di stare in piedi. Gli oratori hanno già finito i loro discorsi e la folla ha cominciato a disperders­i, ma mio figlio si rifiuta di andarsene. Nella sua logica, chiunque creda sia sbagliato uccidere bambini e accoltella­re innocenti dovrebbe uscire a manifestar­e contro questi misfatti. Secondo lui, nel nostro Paese, ci dovrebbero essere milioni di persone che la pensano così, milioni. Se la gente non è ancora arrivata, insiste, è solo perché ha qualche impediment­o. Forse il figlio non trova la scarpa o la babysitter è in ritardo. È solo questione di tempo perché vengano, è chiaro. «Aspettiamo ancora un po’», dice, avvolgendo la sua manina alla mia mano. «Ancora un po’, finché non arrivano». L’unica risposta che riesco a borbottare è che è già tardi, e potrebbe passare molto, davvero molto tempo prima che arrivi la gente che dovrebbe esserci.

(Traduzione di Ettore Claudio Iannelli)

Assenze Mancano anche quei coloni che non si perdono mai un appuntamen­to di protesta contro la demolizion­e degli insediamen­ti illegali

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