Il mito è la sorgente dell’umanità
L’Oceano e il Caos, Prometeo e Persefone Narrazioni che evocano gli enigmi della vita
Il mito — scrive Károly Kerényi nella prefazione a Gli dèi e gli eroi della Grecia, un classico del pensiero occidentale che ora ripropone Il Saggiatore — non è altro che l’infanzia dell’umanità. Lo sforzo che fa la psicologia del profondo per risalire all’infanzia del singolo non differisce da quello che si compie per risalire ai primordi dell’animo umano: a quella remota sorgente dei tempi nella quale il mito ha il suo luogo, fonda le leggi fondamentali della vita, e prende forma nelle sue immagini stupefacenti. Queste immagini non si sono smarrite. Perdurano nella purezza del mare e del paesaggio greco, nei suoi profumi, e nel vento; nelle certezze o nelle oscurità dei nostri pensieri; nel nostro sentire; negli enigmi dei nostri sogni.
Il racconto più antico sulla nascita del mondo è quello di Omero: secondo il quale Oceano è all’origine di tutto. Oceano è una corrente che rifluisce eternamente su se stessa agli estremi margini della terra, delimitando il confine con l’aldilà. La sua inesauribile potenza generatrice era simile a quella dei fiumi nei quali le fanciulle greche scendevano a bagnarsi prima delle nozze. Gli Orfici, invece, raccontavano che l’origine era nella Notte: un uccello dalle ali nere. Fecondata dal vento, la Notte depose un uovo d’argento nell’immenso grembo dell’oscurità. Dall’uovo balzò un dio dalle ali d’oro, chiamato Eros, il dio dell’amore. Anche Esiodo — il poeta-pastore che pascolava le pecore sulle falde dell’Elicona — parlava di un uovo: più esattamente, del vuoto che si spalanca in un uovo quando gli si toglie il guscio. Quello «spalancarsi» era il Caos primordiale. Dal Caos erano nati Gea, la terra, e Urano, il cielo stellato, Crono e Rea, Zeus e tutti gli dèi, la luce e il buio privo della luce, la stirpe dell’uomo.
Gli dèi e gli uomini — dice sempre Esiodo — avevano la stessa origine; ma gli dèi erano immortali e beati, gli uomini soggiacevano alla sofferenza e alla morte. Alcuni sostenevano che, come frassini, fossero spuntati direttamente dalla terra; altri narravano che, quando fu il momento, gli dèi formarono gli uomini, con vari elementi, sotto terra e poi, per portarli alla luce, ordinarono a due fratelli della stirpe dei Titani, Prometeo e Epimeteo, di distribuire loro tutto quello che era necessario alla vita; qualcuno raccontava che il vero «facitore» degli uomini, con acqua e fango, era stato proprio Prometeo. A sostegno di quest’ultima verità, nella regione della Focide si mostravano ancora ingenti blocchi di pietra che avevano l’odore del corpo umano: essi sarebbero stati i resti del fango con il quale il Titano aveva creato l’uomo.
Ma l’uomo — benché di origine divina — era nudo, indifeso, solo. E, soprattutto, prigioniero della morte. Prometeo ne ebbe pena. E, come Cristo, volle liberarlo dalla morte dandogli il dono della speranza e quello del fuoco. Egli giunse di nascosto al focolare del palazzo olimpico in cui abitavano gli dèi; prese una scintilla e la nascose nello stelo cavo di un arbusto (la stessa specie di pianta che nel corteo dionisiaco serviva per il tirso: la lunga verga che agitavano i baccanti e le baccanti); quindi, ebbro di gioia, agitando lo stelo affinché la fiamma non si spegnesse, corse verso gli esseri umani.
Zeus ebbe una fitta nel cuore e si riempì d’ira quando, da lontano, vide brillare il fuoco, ed escogitò due punizioni: una per il ladro, l’altra per l’umanità. Prometeo — in una prefigurazione della crocifissione — fu inchiodato con un grosso palo che gli attraversava il corpo, sulla cima del Caucaso. Durante il giorno, un’aquila si pasceva del suo fegato; durante la notte, il fegato ricresceva perché potesse mantenersi in vita per almeno trentamila anni. Nel Prometeo incatenato, dopo i cori sublimi delle ninfe Oceanine che esprimono la pietà del mondo, Eschilo mette in bocca all’eroe caritatevole legato alla roccia parole altrettanto sublimi di indomabile fierezza. Prima del mio dono — egli dice — gli uomini avevano occhi e non vedevano, avevano orecchi e non sentivano, somigliavano a immagini di sogno… Io spensi all’uomo la vista della morte. Seminai la speranza. Poi li feci partecipi del fuoco… Ho voluto il mio peccato e non lo smentirò.
Per il genere umano — che fino a quel momento era costituito di soli maschi — la punizione fu la creazione della donna. Zeus ordinò a Efesto di creare una fanciulla meravigliosa e pudica. Le Ore la inghirlandarono di fiori primaverili. Atena le insegnò a tessere. Afrodite la istruì in tutto ciò che doveva sapere riguardo alla seduzione. Ermes le pose nel petto la menzogna, le lusinghe e l’inganno. Quando gli dèi la videro rimasero stupefatti e subito capirono quale insidia veniva inviata all’uomo. Poi Pandora — questo era il suo nome — scese sulla terra. E, come prima cosa, soggiacendo alla curiosità che è tipicamente femminile, sollevò il coperchio di uno di quei grandi vasi nei quali venivano conservati l’olio o il frumento. Ne uscirono le fatiche, le malattie, la morte.
Il regno dei morti era dominato da Ades, il terzo fratello,con Posidone, di Zeus. Il termine ades significa «l’invisibile», o anche «colui che rende invisibile». Nell’inno omerico, stupendo, intitolato A Demetra si racconta che Ades, per volontà di Zeus, rapì Persefone, la figlia di Demetra, la madre terra, e la condusse agli Inferi per farne la sua sposa. Persefone giocava nei prati con le Ninfe e raccoglieva i fiori. Attratta da un narciso
Oscurità Gli Orfici raccontavano che l’origine del mondo era nella Notte: un uccello dalle ali nere
Creazione Le divinità plasmarono i comuni mortali sotto terra e quindi li portarono alla luce