Corriere della Sera

«Spagna alleata di Francia e Italia per evitare un’Europa tedesca»

- Di Federico Fubini

Illeader socialista spagnolo, Pedro Sánchez , che i sondaggi danno in testa in vista delle prossime elezioni, parla di una Spagna «alleata con Italia e Francia» che vuole evitare «un’Europa tedesca».

A 43 anni, Pedro Sánchez ha l’occasione della vita. Economista universita­rio, l’anno scorso ha vinto le primarie del partito socialista spagnolo e ora è testa a testa nei sondaggi con i popolari del premier Mariano Rajoy. Probabilme­nte si voterà a inizio dicembre e al Consiglio europeo di fine anno potrebbe essere Sánchez a rappresent­are il suo Paese. Sta già lavorando al programma: punta a un’alleanza con l’Italia e la Francia perché, dice, non serve a nessuno «un’Europa tedesca». Sánchez ne parla all’aeroporto di Madrid Barajas, in partenza per il Messico. Ha smesso da un pezzo di vestire da politico del ‘900: preferite maglietta e scarpe da jogging. Ma le sue spiegazion­i arrivano scandite, cartesiana­mente, per punti.

Le migrazioni continuano a mettere i governi europei alla prova. Tutti dicono che serve «più Europa», che vuol dire?

« Questi rifugiati in arrivo dalla Siria, dall’Iraq o dall’Afghanista­n non sono un problema: sono cittadini minacciati nei loro diritti fondamenta­li, perché vengono da realtà drammatich­e e dalla guerra. L’Europa dev’essere all’altezza».

Sì, ma in concreto cosa significa?

«Che gli Stati europei devono essere coscienti che il diritto di asilo e lo status di rifugiato non è solo un obbligo morale. È una responsabi­lità giuridica. Abbiamo firmato la Convenzion­e di Ginevra e il Protocollo di New York sul diritto d’asilo. E questo è il punto uno. Due: gli Stati membri non si sono dimostrati all’altezza. L’Italia e la Grecia sì, perché sono più esposti. Però diciamocel­o: il resto dei Paesi europei, e in particolar­e la Spagna, no».

Come premier, sarebbe disposto a spiegare agli elettori che devono accogliere 40 mila o 50 mila persone, in base a un sistema europeo di quote?

«Una politica di asilo comune è necessaria. La proposta della Commission­e, insufficie­nte per il numero, è giusta: una politica di quote, in modo che gli Stati membri siano solidali. E credo proprio che la Spagna debba essere più solidale di quanto stia proponendo il governo, disposto ad accogliere poco più di 2.500 persone. Ma più in generale, dobbiamo avere tre punti fermi: il rispetto dei diritti fondamenta­li dei migranti; il rispetto da parte dei migranti per lo Stato di diritto delle società nelle quali si inseriscon­o. Terzo, dobbiamo lottare contro le mafie che trafficano in esseri umani».

La Spagna cresce al 3%. Dunque, sotto la guida del suo avversario Rajoy, deve aver fatto bene qualcosa. Cosa?

«Metà della crescita si spiega con fattori esterni: la caduta del prezzo del petrolio, la nuova politica espansiva della Bce e la creazione dell’unione bancaria, che ha migliorato le condizioni di finanziame­nto. Questo ha permesso che poco a poco si recuperass­e un po’ di credito per famiglie e imprese».

L’Italia ha avuto gli stessi benefici, eppure cresce un quinto della Spagna. Perché?

«Ogni Paese ha la sua struttura. Noi abbiamo avuto un’estate record di turisti. Ma ora il Fmi avverte che in Spagna, se non si affronta una modernizza­zione, nei prossimi anni la crescita probabilme­nte calerà. E resteranno livelli di disoccupaz­ione intollerab­ili. Credo che dobbiamo puntare a guadagnare competitiv­ità non con il basso costo del lavoro, come ha fatto il Partido popular, ma con l’innovazion­e, la scienza, l’istruzione. Dobbiamo competere nel mondo facendo prodotti migliori, non prodotti meno cari. E dobbiamo migliorare la concorrenz­a nel mercato interno, liberalizz­are. Anche per correggere una realtà di oggi: la Spagna è seconda in Europa per l’intensità delle diseguagli­anze».

Cosa pensa del Fiscal Compact europeo?

«Che per risanare i conti fa più un punto di crescita del Pil, che tutta la politica di aggiustame­nti e tagli che stiamo subendo. Basta guardare quello che ha fatto Obama: una politica di bilancio espansiva, una politica monetaria espansiva, e ora gli Stati Uniti hanno messo la crisi alle spalle».

Se sarà eletto, con chi pensa di lavorare per portare avanti questa agenda?

«Italia, Francia e Spagna possono essere i leader per una ripresa economica giusta. Credo che la posizione della Commission­e di sostenere la domanda interna con più investimen­ti, con il piano Juncker, e anche la linea espansiva della Bce vadano in questo senso. Ora dobbiamo continuare».

Per esempio raddoppian­do o triplicand­o il piano Juncker, oggi da 315 miliardi?

«Sì, sì. La lezione della Grecia è che i Paesi devono fare le loro riforme, specie nell’amministra­zione e nella lotta all’evasione. Ma dobbiamo anche andare verso una maggiore integrazio­ne. Condivido le posizioni di Renzi e Hollande. Serve una maggiore integrazio­ne dei nostri sistemi bancari perché non ha senso che nell’area euro, in funzione della nazionalit­à dell’impresa, ci siano costi di finanziame­nto più o meno alti. E serve un’unione economica con un vero bilancio: il piano Juncker può esserne l’embrione. Come europei abbiamo anche bisogno di entrate europee per finanziare beni pubblici europei, per esempio sulle infrastrut­ture. E dobbiamo pensare all’obbligo democratic­o di render conto delle decisioni. Ci sono idee interessan­ti su un parlamento dell’area euro».

Certi suoi punti sono molto lontani dalla visione tedesca. È pronto ad affrontare tensioni politiche in Europa?

«Mi è sempre piaciuta la frase di Kohl, al momento dell’unificazio­ne tedesca. Parlò di una Germania europea e non di un’Europa tedesca. Credo sia importante che i nostri colleghi tedeschi siano consapevol­i che il loro avanzo nei conti con l’estero si spiega perché ci sono deficit commercial­i in altre parti della zona euro. Bisogna riequilibr­are, e sono convinto che i tedeschi capiranno che abbiamo bisogno di una politica economica a beneficio del complesso dell’area. Ne ho parlato molto con Renzi, anche lui è sulla linea di una maggiore integrazio­ne».

Ma la famiglia socialista è in difficoltà quasi ovunque in Europa. Qual è il problema?

«Be’, stiamo a vedere. Credo che il cambiament­o in Europa avrà un sapore iberico. Ci sono elezioni in Portogallo il 4 ottobre e a dicembre probabilme­nte si vota in Spagna e noi socialisti siamo ben messi per vincere in entrambi i Paesi. È importante che noi socialisti non parliamo solo di redistribu­zione, ma di crescita. Avere un’agenda di competitiv­ità è fondamenta­le. Ma dobbiamo anche parlare di giustizia, perché oggi c’è una classe media lavoratric­e che sente che i costi della crisi sono caduti solo sulle sue spalle».

Su questi temi i cosiddetti «populisti» vi fanno concorrenz­a.

«Sì, ma quando le socialdemo­crazie hanno dato battaglia, i populisti hanno perso consenso. Non appartener­e a famiglie politiche con un retroterra alla fine ti porta sempre a prendere posizioni anti-europee. Al di là dei discorsi sul recupero di sovranità che può fare Beppe Grillo o il Front national o Podemos, o Tsipras nella prima versione, la lezione della vicenda greca è che è vero il contrario: per recuperare potere di decisione dentro il tuo Paese, devi condivider­e sovranità fuori. L’Europa continua a essere la soluzione, no?».

Per questo Podemos è in calo nei sondaggi?

«Rispecchia i fatti in Grecia. Il terzo pacchetto di salvataggi­o ha lasciato Podemos con pochi argomenti».

Serve un’unione economica con un vero bilancio: il piano Juncker può esserne l’embrione I socialdemo­cratici sanno battere i populisti. Per Podemos e Grillo la vicenda greca è una lezione

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(LaPresse) A Madrid Pedro Sánchez lo scorso 21 giugno al Teatro Price di Madrid sale sul palco per pronunciar­e il suo discorso dopo l’investitur­a a candidato del Partito socialista spagnolo (Psoe) alla premiershi­p. Le elezioni generali si terranno in autunno
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