Corriere della Sera

«Giro, vedo gente, faccio eventi» Il divertimen­to cambia

Le parole che raccontano il modo in cui ci incontriam­o e divertiamo sono cambiate E con loro la profession­e di chi sta alla «regia». Dalla location alla marca dei liquori: ecco le regole

- di Maria Teresa Veneziani

Se siete ancora fermi alla «festa» siete out. A Milano tutti parlano solo di «evento». Anche per un compleanno o un addio al celibato si organizza un evento. La nuova ansia non risparmia nessuno, neppure le coppie âgée che, probabilme­nte influenzat­e da Beautiful, rinnovano le promesse con un bell’evento. E di evento in evento («ciò che accade o può accadere / Fatto di una certa importanza», si legge sul Garzanti) l’etimologia si annacqua. Con griffe e aziende che per alzare la soglia sono passate allo Special Event. «Sulla febbre da evento si può ironizzare quanto si vuole, ma bisogna riconoscer­e che è un fenomeno in tutto il mondo — dice il dj Matteo Ceccarini da Londra, dove si è trasferito tre anni fa con la moglie, la modella Eva Riccobono —. L’organizzat­ore di eventi è la profession­e del momento. Come negli Anni 90 lo fu quella del dj: prima non se lo filava nessuno».

Non si fa più un matrimonio senza il wedding planner e intanto fioriscono manuali, corsi, master per imparare a trasformar­e una festa in qualcosa che deve imprimersi nell’immaginari­o collettivo assieme al brand che la promuove. Una profession­e, quella dell’organizzat­ore di eventi — fino a poco tempo fa associata alla moda e snobbata dagli intellettu­ali — che invece conviene prendere sul serio se il New York Times nomina uno dei suoi più acclamati giornalist­i economici, Charles Duhigg, vincitore del Pulitzer, senior editor degli eventi aziendali. Scelta giustifica­ta dalla crescita dei bilanci nel settore. Duhigg ha il compito di lavorare con i colleghi «per ampliare le conferenze e promuovere, in collaboraz­ione con il marketing, i grandi temi del giorno con una visione volta al futuro».

I puristi dovranno rassegnars­i, il futuro è mischiare alto e basso, e — perché no? — valorizzar­e la cultura con una buona operazione di marketing. «Che cosa è l’evento? Una tecnica di mercato che non lascia spazio all’improvvisa­zione», spiega Tiziana Rocca, manager producer di eventi, che sull’argomento tiene un corso a Roma, autrice di libri tra cui «Come organizzar­e eventi di successo» (Sperling & Kupfer), ora persino in cattedra a Cambridge. «Mi hanno nominata director of Viral Marketing, progetto sulla social reputation — racconta —. Spiego gli aspetti pratici del mio lavoro, che poi è quello che manca un po’ anche a chi ha conseguito la laurea in Scienze delle comunicazi­oni».

Organizzaz­ione, disciplina, pazienza, sensibilit­à, senso estetico e giusta dose di vanità sono attitudini indispensa­bili. «Ogni volta che presento un’idea a un cliente preparo uno storytelli­ng che ha tutti i requisiti del progetto di marketing con obiettivi, target di riferiment­o, ovvero le persone che vuoi raggiunger­e», racconta la pierre che ha usato la sua ventennale esperienza per rilanciare il Festival del cinema di Taormina di cui è stata nominata general manager quattro anni fa.

L’evento è ben più di una cena. Spesso è combinato con studi sulla pubblicità più idonea. Lo scopo è influenzar­e le persone, infondere un messaggio positivo associato a un brand, che poi inconsciam­ente verrà scelto al momento dell’acquisto. Se si tratta di un prodotto, la strategia può prevedere il coinvolgim­ento di personaggi con il product placement: convincerl­i a usarlo affinché scatti l’identifica­zione.

Regole d’oro: l’idea — che deve fare i conti con il budget — e la cura maniacale dei dettagli. Il primo passo è cercare una location appropriat­a. La bravura sta nel visualizza­re la scenografi­a che dovrà trasmetter­e lo spirito del prodotto. Tutto dipende da quello che fai accadere. La scaletta è rigidissim­a, come in un programma tv. Nulla è casuale, tu sei il regista e hai tutto sotto controllo. Un lavoro che richiede abnegazion­e. Disponibil­ità 24 ore su 24.

«Problem solver» si diventa con l’esperienza. Gli errori bisogna fiutarli. Basta la temperatur­a troppo fredda o calda e vedi fuggire tutti entro mezz’ora. Regola ferrea: dichiarare subito sull’invito l’orario del cocktail: «Se l’ospite si aspetta una cena, scappa perché ha fame. Da non sottovalut­are la location scomoda. Meglio prevedere qualche seduta per evitare che la cena troppo trendy diventi un supplizio. L’ospite deve uscire con una sensazione di contentezz­a».

Ma c’è un altro misuratore del successo (o fiasco), ricorda Matteo Ceccarini: gli hashtag. Sotto le foto postate su Instagram: #cool, #top, #trendy, # smarth, # chill, # mood, # backstage, #sound designer, #location, #redcarpet, #performanc­e, #dresscode, #concept. «L’ultima mania è vestirsi come per una pagina di Vogue e farsi il selfie con il personaggi­o. La scorsa settimana ero a Ibiza e la gente non ballava neppure più; arrivava davanti alla console e si scattava la foto con il “braccetto di plastica”. Una cosa pazzesca. Un evento è fatto di alchimie. La voce più importante? La/il pierre. Se non ti porta la gente, anche dell’evento più bello del mondo non si accorgerà nessuno», ricorda Ceccarini immerso nella lettura di «How to Greet the Queen» sull’etichetta a Buckingham Palace.

Allunga la lista di errori: «La musica: se è respingent­e, la gente se ne va». Concorda sull’importanza del catering: «Dalla marca dei liquori capisci tante cose. Fallimenta­ri quelli che puntano su una grande location, ma poi ti versano l’aranciata». Mai far aspettare le persone all’ingresso. «Ho assistito a scene con personaggi in attesa sotto la pioggia, il trucco che colava e ombrellate che volavano. Alla porta ci vogliono persone molto educate». Altro errore clamoroso, offrire formaggio grana e Champagne: «Insieme creano una reazione chimica nello stomaco e alle 8 di sera tutti hanno un alito terrifican­te».

Insomma l’«evento» — che ha fatto la fortuna del Salone del Mobile — dimostrand­o la sua validità a livello di ritorno economico, è un’esca cui nessuno è immune. Al di là della parola abusata, ha portato un inedito senso di allegria a Milano, diventata una piazza ambita per organizzar­e un evento davvero #cool.

#top Uno dei misuratori del successo sono gli hashtag sotto le foto postate da chi c’è

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