Ucciso in villa: è stata la moglie
Così la donna è crollata dopo aver inscenato la rapina: «Schiava per 40 anni»
«Sì,l’ho ucciso io». Svolta nell’omicidio di Alfio Longo, il pensionato ucciso in villa nel Catanese. Non sono stati i rapinatori ma la moglie, Vincenza Ingrassia, che ha confessato: ero schiava da 40 anni.
«Sì, l’ho ucciso io». La messa in scena era cominciata alle 5 del mattino di giovedì. Uscendo disperata dalla villa sulle pendici dell’Etna, gridando, raccontando di una squadraccia di teppisti che aveva assaltato la casa, immobilizzato lei e ucciso a colpi di bastone il marito, Alfio Longo, un pensionato di 67 anni. Ed era riuscita a convincere l’intera comunità di Biancavilla, con il sindaco pronto a mettere in guardia contro i rapinatori stile Arancia meccanica.
Ma alle 5 della sera, cominciato l’interrogatorio dei carabinieri, Vincenza Ingrassia, 63 anni, dopo avere insistito di essere stata legata a una sedia con corde e nastri adesivi, ha cominciato a tentennare contraddicendosi. Fino a confessare di avere assassinato il marito, alle 5 del mattino di venerdì. Esattamente 24 ore dopo quel fantasioso racconto sul gruppo di rapinatori simili agli attori del film di Kubrick.
«Sì, l’ho ucciso io. Perché non ne potevo più di fare la sua schiava, di subire percosse, maltrattamenti, abusi, tradimenti, droghe. Quarant’anni di inferno. L’ho ammazzato con lo stesso bastone che aveva usato la sera per colpirmi alle gambe. Un trancio di vite, preso dalla cesta del camino. Le nostre discussioni finivano sempre così. E io, dopo avere visto in tv un film in cui una donna ammazzava il marito con dei vetri, quando lui si è assopito con dei sonniferi perché come sempre era nervoso, ho afferrato quel cippo nodoso e gliel’ho scaraventato con tutta la mia forza sulla testa. Si, mentre dormiva, pensando a quel film, nel nostro letto, per farla finita. Un colpo per le sevizie, uno per i suoi vizi, uno per le donne...».
Una confessione che si trasforma in uno sfogo. Ancora da confermare nei dettagli perché la continua altalena di bugie e ammissioni, di simulazioni e imposture ha reso scettici il procuratore Michelangelo Patanè, il sostituto Raffaella Vinciguerra e il colonnello dei carabinieri Alessandro Casarsa. Anche perché la coppia, trasferitasi l’anno scorso nella dimora di contrada Vigne, celava una doppia vita ignorata dai fedeli del gruppo di preghiera della vicina chiesa di San Gaetano. Pregavano marito e moglie, ma a casa coltivavano venti piantine di marijuana e in mansarda c’era tutto l’occorrente per essiccare la droga, accanto a una pistola calibro 9 rubata, a un fucile non denunciato, a diverse scatole di cartucce.
«No, noi non abbiamo mai avuto armi. Solo munizioni ho visto. Dell’erba, sapevo, non condividevo, ma dovevo tacere. A casa non tenevamo soldi
Il timore Adesso tutto il paese saprà che mi picchiava?
in contanti...». Ma il racconto è zeppo di contraddizioni, e i carabinieri stentano a credere che lei non sia mai salita in quella mansarda, che non abbia visto né armi né soldi.
«Avete trovato un barattolo di vetro con 7 mila euro? No, io non sapevo di tanti soldi. Anche se in effetti mio marito in paese aveva prelevato denaro al bancomat...».
Anche questa una bugia, presto smascherata. È bastato un controllo in banca per accertare che l’elettricista in pensione ucciso nel suo letto negli ultimi giorni non aveva prelevato denaro. Una ragione in più per sentire i parenti di questa coppia senza figli e soprattutto il parroco di Biancavilla, già convocato, e che dovrà confermare o smentire alcuni particolari del racconto. «Con lui mi sono confidata — ha dichiarato Vincenza agli inquirenti —. Voleva mandarmi in comunità. E mio marito: “Se ti azzardi, uccido te e tutti quelli che ti proteggono”».
Rimane l’enigma di una donna che per un’intera giornata era riuscita a recitare la parte della vittima, come in un film noir. Anche se nella realtà a stimolarla è stato un altro film, Cuore selvaggio, andato in onda su Canale 5. Ha agito per vendicarsi, sostiene. Senza rimorsi, ma con tanta vergogna, stando all’ultima domanda rivolta agli investigatori prima di entrare in cella: «Adesso tutto il paese saprà che prendevo botte? Io debbo andare a casa. Se non organizzo i funerali, che dirà la gente?».