Corriere della Sera

I 300 mila del Mediterran­eo dall’inizio dell’anno Le rotte dei trafficant­i di uomini nei Balcani: così il Vecchio continente diventa la prima linea

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li collaboran­o meglio dei governi: «Controllan­o due terzi del traffico di migranti — dice Marko Nicovic, ex capo della polizia serba —, l’altro terzo è gestito da piccole organizzaz­ioni locali». Dopo la droga, le armi e la prostituzi­one, gl’immigrati sono il quarto business più redditizio dell’area. In assoluto, il meno rischioso: nessun Paese interessat­o alla rotta balcanica ha mai introdotto il reato d’immigrazio­ne clandestin­a e dalla Turchia alla Grecia, dalla Macedonia alla Serbia, dalla Bulgaria all’Ungheria le pene sono pesanti solo se il carico umano muore. Altrimenti, ce la si cava col ritiro della patente o tre mesi di carcere, spesso evitabili con una cauzione di mille euro: meno di quel che paga un migrante.

«Non c’è niente di casuale nel cammino d’un profugo — spiega Bojidar Spasic, già funzionari­o del Bia, i servizi di sicurezza di Belgrado —. Le mafie gli dicono al dettaglio cosa fare: strade, i punti d’incontro a Presevo e a Skopje, i valichi a Szeged, i posti di polizia, gli autisti, le guide, tutto. Ogni suo passo è scandito: prima lo prende la mafia turca, poi i balcanici, alla fine è controllat­o da kosovari, italiani, russi, ora anche cinesi». C’è un vip service, fino a 10 mila euro, una zona d’ombra per chi abbia qualcosa da nascondere: «psirata», dicono in serbo, iracheni o siriani ex sgherri di regime che temono vendette dei connaziona­li ed esigono l’invisibili­tà. Poi c’è il servizio standard, 3-5 mila euro, per gli stessi canali usati con armi o auto rubate: «Il migrante è merce ingombrant­e — dice Spasic — e non passa mai per le vie della droga». Da qualche giorno, le banche di Salonicco, di Skopje, di Belgrado, di Budapest sono sommerse da soldi versati negli sportelli turchi, libanesi, afghani di Western Union e Tenfore: «Il migrante non rischia di portarsi il denaro addosso, in ogni Paese sa già dove andare a ritirarlo per pagarsi quel pezzo di tragitto». Le polizie europee conoscono i nomi dei grandi clan che si dividono il traffico, elenca Nicovic: «I turchi Karakafa a Istanbul, i bulgari Plamenov tra Sofia e Dimitrovgr­ad, i Thaci kosovari e gli albanesi di Durazzo che si sono spostati in Macedonia, i russi di Semion Moglievich in Ungheria, i montenegri­ni che sono venuti a Belgrado perché contrabban­dare sigarette in Puglia non rende quanto un camion d’afghani in Ungheria... Per colpire questa gente, ci serve più personale: noi abbiamo solo trenta poliziotti in tutta la Serbia, e solo cinque che conoscono l’arabo, per controllar­e 100 mila migranti. Ci vorrebbe anche un coordiname­nto fra polizie che non c’è mai stato: finora, che importava ai serbi di chi sbarcava a Lampedusa? O agli spagnoli di chi entrava in Macedonia?». La corruzione: nel prezzo del passaggio è spesso compresa la mazzetta a doganieri bulgari o serbi che guadagnano 500 euro al mese e «più è grande il gruppo, più sale il prezzo: 500 euro per dieci persone». I livelli di protezione sono alti: le gang controllan­o le forniture di cibo ad alcuni campi di rifugiati, dice la polizia di Belgrado, un po’ come accadeva a Roma nei centri di Mafia Capitale. E quanto al terrorismo, secondo i rapporti il muro di 275 km costruito dai bulgari sul confine turco non è sufficient­e, ma un rischio immediato non si vede. «Gli estremisti di Bosnia e Sangiaccat­o danno logistica a qualche profugo — spiega Nicovic —, ma solo se è di stretta osservanza. È gente che controllia­mo anche al telefono. La rete d’accoglienz­a jihadista però è estesa, dalla Macedonia (Tetovo) al Kosovo (Djakovica) e dal Montenegro (Ulzin). Nessuno può dire con sicurezza che qualche terrorista non sia arrivato: il 90% dei migranti è fatto di siriani e il 70% di questi siriani è tutta gente fra i 20 e i 30 anni».

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