IL CRINALE PERICOLOSO DELLE PAROLE VIOLENTE L’
incommensurabilità di quanto patito dalle minoranze perseguitate sotto le più disparate latitudini, a partire dal ricorrente iniziale boicottaggio dei negozi del gruppo eletto a capro espiatorio, porta a sottovalutare, per pudica decenza di nemmeno lontana paragonabilità, il riproporsi (pur in miniatura) di taluni di quei meccanismi generatori: come il progressivo slittamento del linguaggio e il graduale smottamento delle condotte nell’agire politico. Nell’accesa manifestazione leghista e nel comizio del segretario Matteo Salvini giovedì a Bormio, sotto l’hotel dell’albergatore che sta alloggiando 60 migranti in accordo con la prefettura e a condizioni di assoluta legalità, c’è un commerciante additato a mo’ di nemico del popolo e, peggio ancora, di traditore della comunità locale per 35 denari di quotidiano forfait spese procapite («Non è possibile che una persona, per campare sul business dell’immigrazione, metta a rischio il lavoro di tutti gli altri commercianti»); c’è un imprenditore boicottato come meritevole di fallimento («Se per riempire il suo hotel uno deve aspettare lo sbarco a Lampedusa, vuol dire che non sa fare il suo lavoro, significa che merita di chiudere»); c’è un albergatore dipinto come untore della peste in paese («È una vera follia inaugurare la passeggiata turistica con decine di individui di colore che da mattina a sera bivaccano nelle vie») e quinta colonna dei criminali in casa («Devono stuprare tua figlia» era il grazioso argomento brandito dal sitin contro chi in strada azzardava un disaccordo). Ma quando dalle trombonate parolaie si passa alle ruspe sulle magliette, e dalle ruspe si passa ad intimare ai vescovi di “non rompere le palle”, e dal buuu ai vescovi si passa all’assedio dell’albergo sgradito, ci vuole un attimo perché prima o poi una mano esagitata accenda (come proprio ieri in Germania) un fiammifero. E, alla fine, qualcuno si faccia male sul serio.