PER LA SINISTRA FRANCESE LE 35 ORE SONO ANCORA TABÙ
Toccate tutto, ma non le 35 ore. La norma che riduce l’orario di lavoro settimanale in Francia, introdotta nel 2000 dal premier socialista Lionel Jospin e dalla ministra Martine Aubry in base al principio «lavorare meno, lavorare tutti», rispondeva a una ambiziosa visione del mondo nella quale il tempo libero e la cultura sono valori importanti almeno quanto la ricchezza materiale. Il guaio è che nel corso degli anni il «lavorare tutti» è scomparso, cancellato da una disoccupazione in crescita costante; di quello slogan è rimasto solo il «lavorare meno», che non sembra essere la risposta più adeguata alla crisi dell’economia francese.
Prova a dirlo, ogni tanto, il giovane ministro dell’Economia Emmanuel Macron, ma viene puntualmente rimesso al suo posto dai difensori della recente ortodossia socialista. Stavolta Macron ha sfiorato il tabù al seminario estivo del Medef, la confindustria francese. «La sinistra a un certo punto ha creduto, molto tempo fa, che si potesse fare politica contro le imprese, o almeno senza di loro. Che la Francia potesse andare meglio, lavorando di meno. Erano idee sbagliate», ha detto il ministro, aggiungendo su Le Point che «l’obiettivo della sinistra dovrebbe essere quello di dare un lavoro a tutti, invece che proteggere i cittadini dal lavoro. È questo il nostro Dna».
Ma nel Ps le 35 ore sono diventate l’ultimo totem. Persino sulla solidarietà si può transigere, come dimostrano le reticenze del governo socialista davanti agli sbarchi degli immigrati, ma la difesa delle 35 ore resta incrollabile. Alle parole di Macron il deputato Yann Galut si è indignato parlando di «insulto verso Jaurès, Léon Blum e François Mitterrand», e il premier Valls ha ridimensionato il suo ministro parlando di «frasi che fanno male alla vita pubblica». In Francia ci sono oltre tre milioni e mezzo di disoccupati, ma il Ps talvolta sembra aggrapparsi a una identità post materialista da partito del tempo libero.