Corriere della Sera

«Così custodisco il mito dell’Harry’s Bar

La dimora veneziana di Arrigo Cipriani, tra memorie e antiquaria­to. «Il segreto? La semplicità»

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iacere, Arrigo, «ma mi sarei chiamato Harry, in onore del nostro Harry’s Bar, se nel ‘32, in epoca fascista, i nomi anglosasso­ni non fossero stati proibiti ai nuovi nati. Lo racconto bene nel mio libro Prigionier­o di una stanza a Venezia, lo legga».

L’incontro con Arrigo Cipriani è essenziale e secco come un dry Martini, uno dei celebri cocktail che hanno fatto la leggenda del Bar veneziano, aperto dal padre di Arrigo, Giuseppe Cipriani, nel 1931. «La sa la storia?», si ferma nell’atrio ombroso della sua casa alle Zattere, a pochi metri dal mare della Giudecca, di fronte alla facciata in marmo del Redentore.

«Mio padre lo battezzò così in segno di riconoscen­za nei riguardi di un giovane americano di nome Harry Pickering. Gli aveva prestato dei soldi, e quando questi, anni dopo, tornò a Venezia a onorare il suo debito, Giuseppe, per gratitudin­e, diede il suo nome, Harry, al locale che diventerà luogo di culto a Venezia e nel mondo».

Chi non conosce la storia dell’Harry’s Bar, le strepitose I dettagli di Casa Cipriani Da sinistra: la sala da pranzo con il tavolo per otto e la vista sul Canale della Giudecca; un dipinto dell’amico pittore Tancredi Parmeggian­i, mentre sul soffitto un trompe-l’oeil dell’artista veneziana Ornella Divari; Arrigo Cipriani nella sua palestra in casa (

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