Coordinazione e autocontrollo i punti di forza
I genitori possono tirare un sospiro di sollievo. Sino a 13 anni non è consigliato, e in tante palestre neppure permesso, iscriversi a un corso di boxe. Comunque l’attività non agonistica (per l’agonismo occorre una visita ad hoc) non prevede per regolamento il contatto fisico. Quindi se figlio e figlia supplicano l’iscrizione, perché no? Senza paure. Tanto più che di intensa preparazione fisica si tratta: attrezzi, corda, corsa, percorsi. Un’ora due o tre volte la settimana (di ragazzi in terza media si tratta) per imparare, altro preconcetto da sfatare, a difendersi. Senza contatto, niente pugni: primo step la camminata (avanti, indietro, laterale) e poi a catena gli altri movimenti. Dalla preparazione alla coordinazione, all’autocontrollo. Nulla di male se la richiesta arriva da un «bisogno» di reagire, vincere la timidezza. Perché dice Vincenzo Ciotoli, maestro della Forza Coraggio di Milano, in palestra impari subito la regola numero uno: mai attaccare. «Chi pratica la boxe non si metterà mai nei guai perché in lui o lei c’è la consapevolezza di essere in grado di difendersi, che è un gesto conseguente all’attacco».
Anche voi avete trascorso l’estate a rodervi per le vacanze altrui? È una delle facce di Fomo, la fear of missing out 2.0 dell’erba del vicino, l’invidia per la vita glamourissima degli altri — o almeno tale è sbandierata in foto e status. Sindrome social tra le più radicate, di cui si dice soffrano nel mondo oltre due terzi degli utenti. Scatena frustrazione, insicurezza, perfino alienazione. Senza capire che è solo teatro: che le vite degli altri, se le guardi da vicino, sono banali come e peggio della nostra. Fomo esplode d’estate. Quando, armati di Walden e Valencia, instagrammiamo da far invidia al National Geographic. Ogni giorno una palette con tutte le gradazioni di blu e verde conosciute, spiagge esotiche, tramonti, corpi tonici e sorrisi. Il 68% scatta la stessa foto finché non è perfetta, il 33% aggiunge filtri (e il 67% mente), il 31% usa le app per farsi più attraente. L’hashtag allude ad un piacere che, vogliono dirti, le parole non riescono ad esprimere. E più postiamo, peggio chi guarda si sente. Il New York Times, che si diverte a intervistare un po’ di rosiconi, nota che le celebrities ci mettono del loro. Unendo le forze, come hanno fatto Gigi Hadid e Kendall Jenner, per raccontare svacanzate inarrivabili. Difficile ignorare il sottinteso: la loro estate è favolosa; la tua, povero sfigato incatenato a quel cubicolo da ufficio, praticamente fantozziana. Il medium che sembrava ridurre le distanze le moltiplica. La pressione per stare al passo è immensa. Ma a far più male sono le ferie di chi pensiamo come noi, dei nostri «amici». Perché l’estate è lo spartiacque. Un anno su Twitter a lagnarvi dello stesso consigliere comunale, a stellinare i reciproci gattini. Poi arriva luglio e loro vanno alle Barbados, tu dalla nonna a Bonassola. Tutto quel Yolo (You Only Live Once, il carpe diem digitale, sorta di «Io me la godo, e voi?») è causa di rancore. Il 34% degli utenti medita di bloccare o unfolloware chi posta troppe foto dalla villeggiatura. Hai organizzato quel cross country negli States? Ogni tre cuoricini un dito medio. Ma perché farseli nemici? Impegnati a instagrammare, croppare e poi filtrare si perderanno le vacanze proprio come te.