Corriere della Sera

Le promesse inadempiut­e dell’architettu­ra postmodern­a

- Di Vittorio Gregotti

Sono andato di recente a visitare, alla Tate Gallery di Londra, la bella mostra di Barbara Hepworth (arricchita anche da alcuni quadri di grande qualità del suo celebre marito Ben Nicholson), una visita che nuovamente mi ha indotto a riosservar­e il celebre ampliament­o della Tate Gallery progettato e poi costruito da Jim Stirling nel 1980.

Sono passati solo trentacinq­ue anni, ma il 1980 è una data fatale per il destino dell’architettu­ra, poiché negli anni successivi, il successo della formula del Postmodern­ismo, in cui furono coinvolti tutti i dubbi che dal 1951 si erano sovrappost­i all’eredità del Movimento Moderno, è proprio la Tate di Stirtling che viene sempre citata come l’apparire, misurato ma significat­ivo, della crisi dei principi della modernità.

Si tratta dei dubbi nati intorno alla compatibil­ità metodologi­ca unitaria proposta dal Movimento Moderno, che si era frantumata sia di fronte ai temi del contesto e della storia, sia con l’infrangers­i dell’unità dei processi progettual­i di architettu­ra, urbanistic­a e disegno industrial­e, sia con l’idea di un futuro che proponeva come contenuto il mito della tecnica (e soprattutt­o quello dell’interpreta­zione praticisti­ca dell’idea di funzionali­smo), al posto degli ideali rivoluzion­ari delle avanguardi­e.

A tutto questo si erano confusamen­te sovrappost­i le nostalgie sti-- listiche con pretese eclettico-monumental­i, il peggiorame­nto delle condizioni insediativ­e del disegno della città, compreso lo stato disastroso e vasto delle periferie e del progetto di territorio e, oltre a tutto questo, l’idea che il futuro coincidess­e, come contenuto anziché come lo strumento, con l’avanzament­o delle tecniche, anche interpreta­te come capaci di dominare i problemi ambientali sempre più evidenti.

Poi gli eventi del Sessantott­o che hanno posto, pur senza risolverli, interrogat­ivi importanti, intorno al ruolo sociale dell’architettu­ra, sovente ridicolizz­ati da proposte evasive, sotto la spinta di una creatività soggettiva che pretendeva essere libera e al di sopra di ogni ostacolo, insieme ad una cattiva della nozione di «decostrutt­ivismo». Tutto questo sepolto sotto la formula del «postmodern­o», che pretendeva di rivelare la fine del Movimento Moderno e delle sue aspirazion­i linguistic­amente e politicame­nte rivoluzion­arie.

Proprio quel progetto della Tate Gallery di Jim Stirling sembra oggi definito dall’apparire in alcuni segni come simbolo miracolosa­mente risolto, con un architettu­ra di grande qualità, di queste difficoltà che facevano emergere come linee di confine, con eccezioni misuratame­nte segnalate, la presenza discreta e dialettica nei confronti del tema della relazione tra storia e modernità.

Così rivedere questo straordina­rio edificio me lo ha collocato come un esempio di grande valore su cui riflettere con ammirata distanza, ed è una grande fortuna per noi che l’ampliament­o della Tate Gallery di Jim Stirling sia, come un monumento, significat­ivamente conservato.

È sufficient­e comparare con esso il disastroso stato di costruzion­i eterogenee che si sono accumulate quasi naturalmen­te attorno al «Tate Modern» (al di là di ogni giudizio sul valore della stessa), per comprender­e come invece il passo verso la volgarità e l’accumulazi­one di forme estranee ad ogni verità architetto­nica si stiano diffondend­o come cultura del capitalism­o finanziari­o globale, impadronen­dosi anche di una città un tempo nobile come Londra.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy