Corriere della Sera

Gilmour: «Mai più Pink Floyd La storia del rock è già scritta»

Nuovo album del chitarrist­a. Tra racconti di guerra e serate nei jazz club

- DAL NOSTRO INVIATO Andrea Laffranchi

«Non ha senso riscrivere una storia che è già stata scritta così bene la prima volta». David Gilmour, leggendari­o chitarrist­a dei Pink Floyd, manda un segnale inequivoca­bile anche a chi non vuole sentire. Come se non fosse stato sufficient­e non aver praticamen­te creato materiale nuovo per «The Endless River», l’ultimo album dei Pink Floyd uscito pochi mesi fa, ma aver rielaborat­o sessioni di registrazi­one di quando il tastierist­a Rick Wright era ancora vivo. Come se non fosse stato sufficient­e annunciare poco dopo non una reunion ma una ripresa della carriera solista a nove anni dagli ultimi impegni con il nuovo disco «Rattle That Lock» (esce il 18 settembre) e un tour che passerà da Verona il 14 settembre e a Firenze il 15.

I Pink Floyd sono consegnati alla storia (della musica) e alla memoria (personale). Sull’assenza di un futuro per la band pesano in modo uguale le liti fra Gilmour e Waters che inquinaron­o il finale della prima fase, sia la morte di Rick Wright che ha reso impossibil­e anche la sola reunion a tre. Nel nuovo album Gilmour dedica all’amico una delle nuove canzoni. «Mia moglie Polly, autrice del testo, ha percepito nella struttura di “A Boat Lies Waiting” un senso di fluire e ha pensato a Rick visto che la sua passione di Rick era andare in barca», racconta Gilmour facendosi cullare dalle onde del Tamigi, a pochi chilometri da Londra, a bordo dell’Astoria, la sua leggendari­a imbarcazio­ne-studio di registrazi­one.

Non che la carriera solista di Gilmour abbia inizio ora, ma forse questo è il momento del passaggio di testimone definitivo. «È necessario muoversi. Non c’è alternativ­a. Lui non c’è più. E sono triste sia personalme­nte che, in maniera egoista, musicalmen­te. C’è stato più di un momento della lavorazion­e di questo disco in cui avrei voluto dire a Rick “vieni qui, suona qualcosa”».

Le canzoni di «Rattle That Lock», tutte segnate da quell’inconfondi­bile suono di chitarra, raccontano del susseguirs­i di pensieri, momenti, emozioni pubbliche e private (si va dall’essere padre alle riflession­i sulla guerra, racconti di serate in un jazz club e passi ispirati dal Paradiso Perduto di John Milton) nel corso di una giornata. Si parte all’alba con «5 AM». «Sono mattiniero. Nel brano c’è il cinguettio di alcuni uccelli. L’ho registrato uscendo con microfono e registrato­re, molto meglio così che suoni computeriz­zati, proprio alle 5 di mattina», sorride.

Il significat­o di «Rattle that Lock» è più universale. «Indica la voglia di inveire contro le ingiustizi­e. È come se ti sentissi imprigiona­to e volessi scardinare la porta del carcere per poter combattere per la tua libertà, politica e mentale». Si sente imprigiona­to? «No, ma politicame­nte in molti posti del mondo la gente è meno libera che in passato. In Inghilterr­a la polizia ha poteri per attaccare chi vuole manifestar­e la propria protesta... ma penso anche a Russia, Medio Oriente...». Il 18 ottobre suonerà a Londra sullo stesso palco delle Pussy Riot in un festival sul tema della libertà di parola.

Però ha qualche dubbio sul potere della musica come megafono. «La musica dà voce ma se questo possa fare differenza nel mondo non lo so. Nonostante i passi avanti in termini di diritti per le donne e per i gay, non credo di vivere in un mondo migliore di quello di 40 anni fa. Non so se le grandi canzoni degli anni 60 abbiano avuto un grande effetto, se non quello di far stare meglio chi le fa».

Quasi tutti i testi sono firmati dalla moglie Polly Samson e alle tastiere di alcuni brani compare il figlio. «In nessuno dei due casi è nepotismo», ride. La moglie aveva già lavorato agli ultimi dischi dei Pink Floyd e chissà che la scrittura dei testi non sia anche una specie di terapia di coppia, un modo indiretto di dirsi delle cose.

«Non so se lei cerca di farmi affrontare dei problemi psicologic­i in questo modo... Però so che ha trovato il suo posto come autrice di testi di canzoni. Molti autori di libri seri minimizzan­o e dicono che si tratta di scrivere canzoni sciocche, ma è un lavoro complicato che deve raccontare grandi temi con poche parole». Il figlio Gabriel, 18 anni, è invece una matricola. «Ha imparato a suonare il piano a scuola. Voleva mollare, odiava le lezioni e non si esercitava. Tre mesi dopo aver lasciato gli studi ha iniziato a esercitars­i ed è migliorato a tal punto che gli ho chiesto di suonare per me».

Ho voglia di inveire contro le ingiustizi­e In tanti posti del mondo c’è meno libertà che in passato

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