Corriere della Sera

Le condizioni per la Ue: quote o non apriamo i centri

Confermata la linea dura: pronti a non aprire le strutture di smistament­o chieste da Bruxelles

- Di Fiorenza Sarzanini

I centri di smistament­o chiesti dall’Europa non saranno aperti fino a che non si fisseranno le quote di distribuzi­one dei profughi. L’Italia conferma la linea dura e in vista del vertice del 14 settembre a Bruxelles mette a punto la strategia per ottenere «un numero più alto di migranti da trasferire altrove rispetto ai 32 mila decisi a luglio». Il flop delle scorse settimane, con le promesse non mantenute nonostante l’impegno della Commission­e guidata da Jean-Claude Juncker — che prima aveva assicurato la distribuzi­one obbligator­ia di 40 mila profughi e poi ha ripiegato su quella volontaria di un numero inferiore — convincono il governo a dettare in anticipo le condizioni. Per questo, come è stato ribadito durante la riunione convocata a Palazzo Chigi ieri mattina dal premier Matteo Renzi con i ministri dell’Interno Angelino Alfano, della Difesa Roberta Pinotti e degli Esteri Paolo Gentiloni, «bisognerà battere tutti sullo stesso tasto: la responsabi­lità deve marciare di pari passo con la solidariet­à». E dunque «l’Italia rispetterà le regole imposte soltanto se anche gli altri faranno la propria parte».

Gli «hotspot»

Il nodo da sciogliere rimane quello dei centri di smistament­o, gli ormai famosi «hotspot» dove far transitare i migranti che chiedono asilo. Bruxelles — forte anche di un’accusa specifica mossa a luglio dalla cancellier­a tedesca Angela Merkel— ha contestato al nostro Paese di non seguire in maniera corretta le procedure per il fotosegnal­amento di chi sbarca sulle coste meridional­i. In particolar­e di consentire a migliaia di stranieri di non essere identifica­ti e lasciandol­i liberi di varcare le frontiere, soprattutt­o nei casi in cui era evidente la volontà di raggiunger­e la Francia, l’Austria, la stessa Germania. Per questo il governo ha accettato di allestire cinque centri con la presenza di commission­i composte da 44 funzionari delle agenzie internazio­nali Frontex, Europol ed Easo. Le strutture di Lampedusa, Trapani e Pozzallo, che dovranno contenere ognuna circa 500 persone, sono già pronte. A novembre verranno completate anche quelle di Augusta e Taranto. Ma le porte non saranno aperte «fino a che non sarà messo a punto l’intero pacchetto». Perché, come ha spiegato Alfano due giorni fa «è inaccettab­ile affrontare subito l’intero carico di responsabi­lità e ottenere a rate la solidariet­à».

Le quote obbligator­ie

Quando parla di solidariet­à il titolare del Viminale si riferisce esplicitam­ente alla distribuzi­one dei profughi. L’Italia mira a far salire il numero di chi dovrà andare altrove, ma soprattutt­o a rendere obbligator­io per gli Stati accettare le quote sulla base di quanto stabilito a luglio: Pil e indicatori sullo Stato sociale di ogni Paese. Un possibile compromess­o, che i tecnici della commission­e europea stanno studiando in queste ore prevede la concession­e di « opt out » a tutti i membri come avviene adesso soltanto per Regno Unito, Irlanda e Danimarca. Vuol dire che alcuni governi potranno chiamarsi fuori dalla cooperazio­ne internazio­nale e dunque non parteciper­anno al programma di assistenza legato all’immigrazio­ne, ma non otterranno neanche il sostegno e i finanziame­nti previsti. Chi è dentro dovrà invece farsi carico degli stranieri in base ai criteri che saranno fissati durante il prossimo vertice di metà settembre. Salvataggi­o Il recupero di migranti al largo della Libia da parte dei militari del pattugliat­ore della Marina «Cigala Fulgosi» L’incognita rimane legata al numero di Stati che saranno coinvolti per stabilire se sia adeguato ad affrontare una situazione che appare ogni giorno più drammatica vista l’entità dei flussi marittimi e adesso anche di quelli terrestri.

Le sanzioni

Un vero e proprio esodo che qualche giorno fa aveva portato lo staff di Juncker a valutare la possibilit­à di inserire anche l’Ungheria nell’elenco dei Paesi — al momento composto solo da Italia e Grecia — che hanno finora sopportato il maggiore carico di migranti e dunque avrebbero trasferito complessiv­amente 32 mila profughi altrove. Un’eventualit­à che, alla luce di quanto accaduto ieri, con la scelta di bloccare i treni in entrata e utilizzare l’esercito per fermare gli stranieri, non appare praticabil­e. Anzi, non è escluso che di fronte a provvedime­nti così drastici l’Europa decida addirittur­a di sanzionare i governi.

Asilo e rimpatri

Del resto l’obiettivo dell’Unione — soprattutt­o dopo le prese di posizione della Merkel che ha invocato più volte in questi giorni una cooperazio­ne internazio­nale più concreta — è quello di percorrere una strada comune che possa portare a risultati anche rispetto alle politiche da intraprend­ere nei confronti dei Paesi d’origine. E dunque, come ha ribadito ieri Pinotti, bisogna arrivare a «un diritto d’asilo comune ma allo stesso tempo anche a rimpatri gestiti a livello europeo». L’Italia ha già avviato negoziati con alcuni governi africani, ma un progetto gestito da Bruxelles potrebbe avere certamente maggiore efficacia anche per la possibilit­à di concedere finanziame­nti e benefici a chi accetta la riammissio­ne dei propri cittadini.

L’impegno L’Europa si era impegnata a trasferire i profughi nei vari Paesi in via obbligator­ia L’obiettivo Pinotti rilancia: diritto d’asilo e rimpatri devono essere gestiti a livello comunitari­o

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