Corriere della Sera

Unioni civili? Ora le chiamano «formazioni sociali specifiche»

In commission­e al Senato è stato varato il termine grottesco e irritante «formazioni sociali specifiche». La prova che la politica italiana, quando non trova il coraggio, si maschera dietro le parole invece di dare il buon esempio

- Di Beppe Severgnini

«Civile » è un aggettivo associato a sostantivi molto diversi — dall’ingegneria al comportame­nto, dalla società al diritto — e non conquista spesso i titoli dei giornali. «Unione civile», invece, s’è dimostrato un accostamen­to esplosivo. Approdando in commission­e al Senato, le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono diventate «formazioni sociali specifiche», un termine grottesco e irritante. La prova che la politica italiana, quando non trova il coraggio, si nasconde dietro le parole. Ma i nomi non ci devono fermare. Nel XXI secolo due persone maggiorenn­i, anche dello stesso sesso, devono poter contrarre un’unione per organizzar­e la loro vita in comune: è normale. Tanto normale da essere stato accettato da diciannove Paesi dell’Unione Europea. Tra questi, dieci sono andati oltre e hanno introdotto il matrimonio omosessual­e; l’ultima in ordine di tempo, l’Irlanda cattolica.

L'Italia è l’unica tra i fondatori dell’Unione Europea a non contemplar­e né una cosa né l’altra. Al di fuori del matrimonio tradiziona­le, il limbo.

Non è solo un’ingiustizi­a: è una pigrizia e una stranezza. Non sembra così complicato. Si tratta di decidere i confini di questi nuovi accordi: quali diritti vanno riconosciu­ti ai contraenti? Il disegno di legge Cirinnà prevede il diritto di assistenza in ospedale, il diritto di succession­e nell’affitto di una casa, il mantenimen­to temporaneo dell’ex partner in difficoltà e la possibilit­à di fare «un accordo con cui i conviventi di fatto disciplina­no i rapporti patrimonia­li relativi alla loro vita in comune e fissano la comune residenza». Questioni ovvie: provate a chiedere in giro.

Le prese di posizione di alcuni rappresent­anti politici — Lucio Malan ha paragonato le unioni civili all’avanzata del nazismo, Magdi Allam alla bomba atomica su Hiroshima — non sono soltanto imbarazzan­ti: dimostrano un estremismo che non appartiene all’elettorato di riferiment­o. Lo rivelano i sondaggi e le conversazi­oni. Una grossa fetta dell’opinione pubblica italiana appare bellicosa se si parla d’immigrazio­ne; ma sembra pronta ad accettare un accordo di coppia diverso dal matrimonio. Si tratta — ripetiamo — di definirne i contorni. I parlamenti — fino a prova contraria — servono a questo.

Certo: alcune questioni appaiono spinose, come l’adozione dei figli dei partner da parte di coppie dello stesso sesso (per complicare ulteriorme­nte le cose è in uso il termine inglese, stepchild adoption). Ma non è necessario affrontarl­e tutte insieme. Si può andare per gradi: un’espression­e che, a una politica votata allo scontro, può sembrare blasfema. Ma altra strada non c’è.

È così difficile ammetterlo? Per molti italiani accettare le novità, in questa materia, costa fatica. Non c’è nulla di cui vergognars­i: la fatica è ammirevole, a differenza della fuga. Sono necessarie pazienza, calma e intelligen­za giuridica; e possono portare a soluzioni diverse in Paesi diversi, a seconda delle sensibilit­à e delle tradizioni.

Prendiamo il tema più delicato. Se decine di milioni di italiani sembrano disposti ad accettare le unioni civili — chiamiamol­e con il loro nome — non altrettant­i si sentono pronti ad accettare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ritengono sia giusto dare a un bambino una mamma e un papà. Deriderli, aggredirli o insultarli è controprod­ucente. Noi non siamo americani. Per convincere gli italiani è sbagliato fare della questione una battaglia di diritti civili; meglio il ragionamen­to, la comprensio­ne e l’esempio. L’Italia è una nazione empatica. Convince più una coppia omosessual­e innamorata che un comitato aggressivo e sguaiato.

Il buon esempio dovrebbe venire dalla classe politica. Finalmente ha trovato il coraggio di affrontare la questione delle unioni civili; adesso trovi la calma necessaria. Probabilme­nte — com’è accaduto in altri passaggi difficili della coscienza nazionale — toccherà ai cittadini dimostrars­i più saggi. L’impression­e, infatti, è che politici di ogni colore aspettino solo l’inizio della stagione dei talk-show per sbranarsi in pubblico. I media, come sempre, sono pronti ad allestire le gabbie. Ma non è così che una nazione diventa grande.

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