Corriere della Sera

«Una rottura sentimenta­le tra Pd ed elettori»

L’ex premier: sì, sono stato sprezzante, ma non cattivo C’è stata una rottura sentimenta­le tra il Pd e parte degli elettori

- Di Aldo Cazzullo

"Renzi ha svilito la nostra storia — dice Massimo D’Alema al Corriere — e creato una frattura sentimenta­le con la nostra gente».

«Sono appena tornato dall’Arabia Saudita, e sono rimasto colpito dalla percezione terribile dell’Europa: un continente diviso, preda di febbri populiste, incapace di governare un’emergenza in cui abbiamo anche noi le nostre responsabi­lità. L’Europa ha contribuit­o a destabiliz­zare la regione: per quello che ha fatto, con guerre e interventi militari; e per quello che non ha fatto, disinteres­sandosi delle conseguenz­e».

Presidente D’Alema, l’Italia tenta di internazio­nalizzare l’emergenza migranti. A che punto siamo?

«È un tentativo apprezzabi­le. Si comincia a capire che occorre uno statuto europeo del rifugiato, che le frontiere italiane, greche, ungheresi sono frontiere dell’Unione e spetta all’Europa presidiarl­e. Ma occorre un salto di qualità. Quando ci fu la crisi in Kosovo, non facemmo nessun vertice: ci parlammo al telefono, distribuim­mo i profughi: 30 mila in Italia, 40 mila in Germania, 150 mila in Albania assistiti con i soldi nostri. Non si videro barconi. Nessuno affogò. Ma era un’altra Europa. Con valori comuni».

Tra i valori in crisi ci sono quelli del socialismo europeo. Lei ha sostenuto che i socialisti scompaiono se si allineano ai conservato­ri, come ad Atene, e reggono se dialogano con i radicali, come a Madrid. Ma la sinistra radicale lei l’ha sempre combattuta. E ora il Pd dovrebbe inseguirla?

«La situazione è ben diversa dal 1996. Allora si trattava di liberare la sinistra dallo statalismo e di arricchirl­a con aspetti positivi del liberalism­o. Oggi siamo dopo la grande crisi della globalizza­zione neoliberis­ta. E il riformismo socialista non riesce a ridurre disoccupaz­ione e disuguagli­anza. Ecco perché sorge il populismo, e sorge una sinistra di tipo populista, che non va confusa con l’estremismo. Podemos non ha nulla a che vedere con i gruppetti estremisti».

Ma secondo una lettura diffusa Renzi fronteggia gli stessi nemici che fronteggiò lei: le rigidità sindacali, gli antiberlus­coniani militanti…

«Raffigurar­e la storia italiana come se berlusconi­smo e antiberlus­conismo si fossero annullati in una litigiosit­à inutile, senza produrre nulla, è una raffiguraz­ione falsa. Il centrosini­stra produsse importanti cambiament­i. Abbiamo fatto la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro, le privatizza­zioni e le liberalizz­azioni, la politica estera nei Balcani e in Libano. Abbiamo portato l’Italia nell’euro». E avete avuto grandi fallimenti. «Altre cose non ci sono riuscite. Ma rappresent­are questi vent’anni come una lunga rissa in cui a un certo punto appare Renzi è una sciocchezz­a pubblicita­ria. Al contrario, Renzi dovrebbe riconoscer­e quel che ha avuto in eredità. Tra gli elementi che contribuis­cono alla crescita del Pil c’è l’Expo, che Renzi ha ereditato dal governo Prodi, senza avere il buon gusto di dire almeno grazie. Mi ha colpito l’atteggiame­nto sgradevole nei confronti del suo predecesso­re. Enrico Letta ha messo in sicurezza il Paese. E Renzi ne parla in modo inutilment­e sprezzante». Anche lei ha avuto modi sprezzanti. «È vero e infatti ho sbagliato. Lo riconosco. E ho pagato un prezzo per questo. Ma posso essere stato spigoloso; non sono cattivo, né vendicativ­o. Io ho difeso con spigolosit­à le mie idee; non ho mai massacrato le persone. Ho avuto con Veltroni e Prodi un confronto politico franco. Ma ho indicato io Veltroni come vicepresid­ente del Consiglio. E quando Prodi cadde in modo drammatico, e non certo per mia responsabi­lità, l’ho indicato io come presidente della

Commission­e europea. Soprattutt­o, non ho mai svilito la nostra storia comune, come sta facendo Renzi. È vero che in passato il centrosini­stra ha conosciuto divisioni. Ma oggi si rischiano lacerazion­i ben più drammatich­e». Il Pd è a rischio scissione? «Sono stato coperto di insulti per aver fornito in un dibattito qualche dato oggettivo: nei sondaggi siamo precipitat­i dal 41% al 32; e le regionali hanno confermato la tendenza. Per ordine dall’alto è iniziato un linciaggio di tipo staliniano. Il Pd sta abbandonan­do molti valori della sinistra, ma non i metodi dello stalinismo. Oggi i trotzkisti da fucilare se il piano quinquenna­le falliva vengono chiamati “gufi”. E siccome Palazzo Chigi ha una certa influenza sui media, vari commentato­ri sono intervenut­i per dirmi che non si possono paragonare le Regionali alle Europee. Sono cose che credo di sapere. Paragoniam­o allora le Regionali 2015 alle precedenti. Abbiamo perso 330 mila voti in Emilia, 315 mila in Toscana, 150 mila in Veneto e in Campania. In tutto sono un milione e 300 mila». È cresciuta l’astensione. «È vero; ma soprattutt­o nelle Regioni rosse. Gran parte dell’elettorato rimasto a casa era nostro. In campagna elettorale mi sono preso gli insulti di molte persone cui dicevo di votare il Pd; adesso mi insultano dall’altra parte. Il vicesegret­ario del mio partito dice che faccio polemiche di basso livello. Ma qui è basso il livello dei voti. Dio acceca coloro che vuole perdere». Ripeto: il Pd è a rischio scissione? «Non è a me che deve fare questa domanda. Mi occupo di politica internazio­nale. Non ho problemi, non cerco

cariche…».

La si sospetta invece di acrimonia personale, per non aver avuto la carica di alto rappresent­ante per la politica estera europea.

«È falso, e glielo dimostro. Io lavoro a Bruxelles, e collaboro lealmente con Federica Mogherini, che apprezzo molto». Torniamo al rischio scissione. «L’attuale Pd non ha rotto solo con la tradizione della sinistra, ma anche con una parte importante del cattolices­imo democratic­o. In questo modo ha lasciato molto spazio ad altre offerte politiche. Ora il Pd è a un bivio. O ricostruis­ce il centrosini­stra. Oppure crea un listone con il ceto politico uscito dal berlusconi­smo. Ho visto un sondaggio che dice che con questo listone, o come è stato eleganteme­nte definito rassemblem­ent, avremmo meno di voti di quelli che raccoglier­ebbe da solo il Pd».

Sta dicendo che bisognereb­be cambiare la legge elettorale?

«Sì. La legge è stata costruita per un Pd al 40%; oggi rischia di diventare una trappola mortale. Il ballottagg­io sarebbe tra Renzi e Grillo; e dubito che i leghisti voterebber­o Renzi. Farsi la legge elettorale su misura porta sfortuna: chi ci ha provato, compreso Berlusconi, ha perso. Sarebbe saggio evitare questa roulette russa, che rischia di consegnare il Paese neanche a una maggioranz­a, ma a una minoranza populista».

Non vorrei sembrarle insistente, ma se si dà il premio elettorale alla coalizione anziché alla lista, allora nel Pd diventa possibile una scissione da sinistra.

«Questo deve chiederlo a Speranza o a Cuperlo. Io sto dicendo un’altra cosa. Qui è in gioco l’assetto del sistema democratic­o. Se si sceglie una legge elettorale che sacrifica la rappresent­anza alla governabil­ità, allora bisogna riequilibr­are il sistema con garanzie, contrappes­i, tutela dei diritti fondamenta­li dei cittadini: a cominciare dall’elezione diretta dei senatori. Lo stesso vale per la riforma fiscale. Un conto è tagliare le tasse sul lavoro e sulle imprese; un altro è tagliare le tasse sulla casa ai benestanti. Quello fu uno dei terreni di sfida tra Prodi e Berlusconi. Renzi ha scelto la posizione di Berlusconi».

Renzi sostiene che sta facendo le cose che lei aveva intenzione di fare, dalle riforme istituzion­ali al superament­o dell’articolo 18. Avete in comune pure il dialogo con Berlusconi, e lo scontro con gli antiberlus­coniani. Come quello che lei sostenne al Palasport di Firenze con Paul Ginsborg, all’apice della stagione dei girotondi.

«Berlusconi nel 2001 venne in elicottero a Gallipoli per cacciarmi dal Parlamento. Nel 2013 mi disse che non avrebbe mai potuto votarmi per il Quirinale perché a destra ero considerat­o il peggiore avversario. Ricordo bene il confronto pubblico con Ginsborg. Lui aveva scritto nei suoi libri cose diverse da quelle che avevo scritto nei miei. Ma il confronto delle idee richiede che ci siano delle idee».

Renzi le rinfaccia che non può difendere l’Ulivo l’uomo che a Gargonza lo affossò.

«Io non sono mai stato un ulivista nel senso ideologico del termine. A Gargonza contrastai l’ideologia della supremazia della società civile sulla politica: tema di una certa attualità. Ma l’Ulivo io contribuii a costruirlo e portarlo al governo, con oltre il 40%: al di sopra del livello massimo del Pd attuale».

Che effetto le fa vedere quasi tutti i suoi collaborat­ori di un tempo schierati con Renzi? Rondolino, Velardi…

«Velardi si schierò già con Lettieri e la Polverini». …Latorre, Orfini. «Mi fa un certo effetto di tristezza. Colpisce la solerzia con cui alcuni si impegnano nelle polemiche contro di me. Anche questo appartiene al metodo staliniano: fare attaccare i reprobi dai vecchi amici, dai familiari».

Renzi ha torto anche quando dice che l’alternativ­a a lui non è un Pd più a sinistra, è Salvini?

«Questo è lo scenario che lui preferisce. Ma bisognerà vedere se nel centrosini­stra emergerà nel prossimo futuro una personalit­à in grado di contendere a Renzi la leadership. Non bisogna sottovalut­are un fatto. A destra la legge della convenienz­a funziona. A sinistra no. A sinistra è più forte la legge della convinzion­e». Che cosa intende dire? «Che è avvenuta una cosa più grave di una rottura politica; una rottura sentimenta­le. Un parte degli elettori di sinistra hanno rotto con il Pd, e difficilme­nte il Pd li potrà recuperare. Io ho litigato con molte persone che mi hanno detto: “Non vi ho votato e non vi voterò mai più. Non siete più il mio partito”. E non lo dice un gufo; lo dice uno che resta nel Pd, seppur maltrattat­o. Sarebbe saggio cambiare tono. Perché c’è qualcosa in Renzi che va al di là delle scelte politiche; è proprio questo tono sprezzante e arrogante, verso le persone del nostro stesso mondo, verso la nostra stessa storia. Berlusconi e Bossi si insultaron­o, si querelaron­o, ma il giorno dopo per convenienz­a si misero d’accordo. A sinistra questo non può accadere. Siamo fatti diversamen­te».

Io coperto di insulti Per ordine dall’alto è iniziato contro di me un linciaggio di tipo staliniano

Il rischio di una scissione? Io mi occupo di politica internazio­nale Non ho problemi, non cerco cariche

Mi fa un certo effetto di tristezza vedere molti miei ex collaborat­ori schierati con il premier La legge elettorale con due listoni è stata costruita per un Pd al 40%, oggi rischia di diventare una trappola mortale Il ballottagg­io sarebbe tra Renzi e Grillo, dubito che i leghisti voterebber­o per noi

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Ex premier Massimo D’Alema ha guidato il governo dal 21 ottobre 1998 al 25 aprile 2000

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