Corriere della Sera

MATTARELLA E QUEI SILENZI ELOQUENTI

Superati i primi 6 mesi al Quirinale di Mattarella Il ruolo di arbitro e la ricerca di un ritorno alla normalità istituzion­ale

- Di Marzio Breda

L’honeymoon di Sergio Mattarella con gli italiani sta durando ben più dei cento giorni che furono assegnati a Roosevelt per familiariz­zarsi con le prerogativ­e della Casa Bianca e che fecero parlare appunto di «luna di miele» con l’America. Compiuto il giro di boa dei sei mesi dall’insediamen­to al Quirinale, alcune incrinatur­e di quel canonico patto di tregua si colgono invece nel campo della politica. Scricchiol­ii, niente di più. Almeno per il momento. Sufficient­i però a far già dire a qualcuno che i suoi silenzi (sulla riforma del Senato) fanno «troppo rumore» o che sono addirittur­a «inquietant­i» (sulla scuola e sulla Rai) e che «un presidente con i sandali», ossia dai costumi austeri e frugali, non è la figura più adatta a battere l’antipoliti­ca. Recriminaz­ioni curiose, se si consideran­o le critiche rivolte agli inquilini del Colle «super-esternator­i» e «interventi­sti». Umori che, se trasferiti sull’opinione pubblica, potrebbero nascondere una voglia di presidenzi­alismo più interioriz­zata e diffusa di quanto si crede.

La verità è che Mattarella è un uomo di poche parole e molti gesti, che insegue «la normalità istituzion­ale» e detesta forzature e modelli di supplenza borderline. E sembra difficile che cambi. Basta pensare al suo abbraccio di luglio al figlio di Paolo Borsellino, Manfredi, in una Palermo intossicat­a dalle polemiche, con tutto ciò che quell’atto di solidariet­à esprimeva più potentemen­te di un discorso carico di moniti.

Silenzioso, dunque, lo è e lo rimarrà. Per naturale propension­e alla misura. Per una vena di sicilianit­à autorevole. Per una certa concezione del potere, che gli suggerisce di non inflaziona­re i messaggi e che tuttavia non ne fa una figura prudente fino a cadere in eccessive timidezze. Perché se c’è da alzare la voce, la alza, anche aspramente. Lo dimostrano diversi passaggi del suo percorso politico. Come quando nel 1990 si dimise da ministro contro la legge Mammì sulle tv berlusconi­ane, o quando definì «un incubo irrazional­e» l’ipotesi che Forza Italia entrasse nel Ppe. E lo confermano le prime mosse che ha compiuto da capo dello Stato. Pure queste destinate a comunicare come vuole interpreta­re il ruolo.

Le scelte di maggiore impatto sulla gente comune — e sull’alta burocrazia di Stato — riguardano le iniziative di riorganizz­azione interna del Quirinale. Dall’assegnazio­ne degli alloggi di servizio (drasticame­nte ridimensio­nati) all’apertura del palazzo ai cittadini, dai progetti per rendere fruibile la tenuta di Castelporz­iano (dove per l’intera l’estate sono stati ospitati disabili di varie associazio­ni) alle misure di contenimen­to delle spese che, giusto in queste settimane, stanno entrando nel dettaglio.

Questo è un primo aspetto, che risponde anche alle tante sollecitaz­ioni esterne per un segno di cambiament­o verso una maggiore sobrietà. E poi, altro esempio per capire come la pensa e come si muove il presidente, ci sono i suoi continui riferiment­i alla Resistenza e alla Costituzio­ne. Temi sui quali interviene con ragionamen­ti che andrebbero tarati su una doppia lettura. Da un lato c’è la rivalutazi­one dello spirito originario della Carta, con la sottolinea­tura del suo fondamento resistenzi­ale, in una chiave che ne vuole cogliere la genesi antitotali­taria. Dall’altro lato c’è lo sforzo di imporre su questi due cardini una riflession­e collettiva secondo una logica finalmente non conflittua­le, in modo che la Resistenza non sia più un’arma da brandire contro qualcuno, com’è stato per tanto tempo.

Ancora, per decifrare il presunto enigma-Mattarella, va tenuto presente il ruolo di arbitro che si è attribuito fin dal giuramento. Quando avvertì «i giocatori», vale a dire i politici, ad aiutarlo con la loro «correttezz­a», lasciando intendere che non avrebbe permesso trucchi o giochi sporchi. Il che non si- gnifica passività o rinuncia a quell’opera di moral suasion più o meno platealmen­te esercitata dai suoi predecesso­ri. Infatti, un certo lavoro di persuasion­e morale (un additivo di sorveglian­za, lo si è definito) lo svolge se non altro perché non può non essere svolto, da chi sta sul Colle. Per segnalare i limiti di precaria costituzio­nalità di una data legge. Per smorzare conflitti potenziali. O per lanciare un avvertimen­to su qualche deriva politica che giudica irrazional­e e pericolosa. Solo che lo fa senza intermedia­ri, con contatti discreti e personali. Senza platealmen­te forzare la mano. Senza l’appoggio di esternazio­ni pubbliche. Un compito che intende in una chiave più metodologi­ca che contenutis­tica, lasciando alle forze politiche la determinaz­ione delle scelte di merito.

Si prenda il caso della riforma del Senato, sulla quale è in corso una dura battaglia. Ora, quando si pretende che Mattarella si metta di traverso facendo la parte dell’opposizion­e (magari anche l’opposizion­e interna del Pd), si dimentica che di fronte a una legge costituzio­nale il potere di rinvio di un presidente ha dei limiti precisi, delineati dalla giurisprud­enza costituzio­nale. Limiti assoluti, che riguardano la lesione dei diritti e dei principi fondamenta­li. E, da ex giudice della Consulta cui sta comunque a cuore la governabil­ità e un processo riformator­e in grado di accompagna­rla, lo sa bene. Tutto il resto va lasciato al Parlamento, e così lui fa.

Una filosofia di rispetto dei limiti che il capo dello Stato ha rievocato un mese fa, durante la cerimonia del Ventaglio, chiedendo ai partiti di «non straripare dai propri confini» e di «rispettare le competenze altrui». Lui stesso ne ha fatto una questione di metodo. Perfino nel lavoro di ogni giorno al Quirinale, dove ha volute differenzi­are le riunioni con i consiglier­i tecnici da quelle con i consiglier­i politici, riunioni che prima erano quasi sempre congiunte. Beninteso, tra le due équipe non c’è una mancanza d’integrazio­ne, quando serve. Ma se ai primi chiede precise istruttori­e tecniche su determinat­i dossier e ai secondi un parere sulle ricadute politiche, la decisione finale la prende in solitudine. E, sì, in silenzio.

La moral suasion La scelta di contatti discreti e personali per esercitare la moral suasion

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