Dai banditi italiani a Johnny Depp, il ritorno dei gangster-movie
Cavallero, Fantazzini, Lutring: al Festival l’epopea criminale di Milano
Kiss kiss bang bang. Bang Bang kiss kiss. Bang Bang. Versione fumetto, la storia dei gangster movie potrebbe riassumersi così. Prima baci e sparatorie, poi sparatorie e baci, infine solo violenza pura, alla Tarantino o alla Cronenberg.
Un genere evergreen, che ora torna alla grande e trova in questa Mostra la sua vetrina. Primi a scendere in campo, gli Italian gangster di Renato De Maria, oggi a «Orizzonti». Un viaggio in bianco e nero nell’epopea criminale di Milano e dintorni dai ’50 ai ’70, quando i gangster si chiamavano banditi e la mala era avvolta in aloni leggendari, celebrati da molte canzoni.
Un trentennio di ricostruzione e povertà, euforia e rabbia, dove si inserirono fuorilegge anomali, mossi dall’urgenza di «fare soldi» ma anche da rivendicazioni politiche, sociali. Come Pietro Cavallero, che si proclamava comunista e citava Brecht, «è più criminale fondare una banda che rapinarla». Come Paolo Casaroli, ex repubblichino, teorico del mito ducesco dell’«uomo-guida». Figlio di un anarchico rapinatore è invece Horst Fantazzini, maestro della lotta di classe a mano armata, mentre Ezio Barbieri passa alla storia per la rapina con donna nuda, utile a distrarre i cassieri mentre si ripuliva la cassa. La passione per le donne e le auto di lusso accumuna Luciano De Maria, quello della rapina di via Osoppo, e Luciano Lutring, «il solista del mitra» perché lo chiudeva in una custodia da violino. Italian gangster improvvisati, balordi, spietati, a volte simpatici. Il titolo inglese allude alle radici nostrane di un «prodotto di esportazione» destinato a dilagare con la pizza e l’opera lirica in tutto il mondo. A trovare oltre oceano epigoni di ben altro calibro, nomi dalle chiare origini quali Al Capone, Lucky Luciano, Johnny Torrio. Padrini il cui mito, sontuosamente officiato da Coppola, Scorsese, De Palma, ha fatto scuola. Vedi i recenti funerali cafonal style di Roma.
Da Boston arriva invece James Bulger detto «Whitney» per via della carnagione pallida. Ad assumerne i tratti spietati in una sorprendente metamorfosi è Johnny Depp, già interprete di tipacci quali Donnie Brasco o Dillinger. E Depp domani sarà la superstar del Lido con Black Mass, che qui non sta per messa nera ma per «nero Massachusetts», lo Stato che Whitney insanguina con 11 omicidi, tra cui due donne strangolate con le sue mani. Le stesse con cui regalava tacchini per la festa del Ringraziamento e medicinali ai poveri. A differenza di altri colleghi, Bulger nasce in una famiglia borghese, fratello di un senatore. Trafficante di droghe, ricercato dalla Fbi, ne diventa stretto collaboratore per sgominare il nemico comune, la mafia italiana. Dal 2011 è in galera, dove proprio oggi compie 86 anni. «La mia vita l’ho sprecata stupidamente » ha ammesso poche settimane fa.
Infine ecco El Clan. Quello dei Puccio, specialisti in rapimenti nella Buenos Aires anni 80. Il film di Pablo Trapero prodotto da Almodovar mostra una famiglia benestante, rispettata, la cui segreta e redditizia attività è il sequestro di persona. A reggere con pugno di ferro l’impresa, il patriarca Arquimedes. Lui e i figli si occupano dei «prelievi», le donne cucinano per le vittime, le ragazze ballano per coprire con la musica i loro lamenti.