Il piano di Juncker: dovrà pagare chi non vuole accogliere i profughi
La Commissione studia un meccanismo di «esonero» per i singoli Paesi
I Paesi che rifiuteranno di ospitare i profughi dovranno versare un contributo «fortemente oneroso» nelle casse dell’Unione Europea. Una somma che possa ripagare gli altri per l’impegno sul fronte dell’immigrazione. È una svolta clamorosa quella contenuta nella bozza di accordo che la commissione guidata da JeanClaude Juncker sottoporrà il 14 settembre ai ministri dell’Interno e della Giustizia. Perché per la prima volta sanziona gli Stati membri non collaborativi. E perché ha come obiettivo finale quello di imporre una distribuzione obbligatoria tra gli altri, potendo però contare su un sostegno economico molto più alto.
La trattativa è ancora lunga, l’impressione è che su molti punti il negoziato possa essere complicato, ma il fronte composto da Germania, Francia e Italia sembra in grado di poter imporre regole diverse addirittura mettendo in discussione il trattato di Dublino che prevede l’obbligo per il Paese di primo ingresso di assistere chi richiede asilo fino al termine della procedura per il riconoscimento dello status. L’intenzione è infatti di rendere «permanente il meccanismo della relocation » in modo che la spartizione diventi alla fine un automatismo. Rispetto a quanto accaduto a luglio — quando l’Agenda della Commissione fu bocciata per le resistenze di numerosi Paesi e la presa di posizione di Berlino e Parigi su alcuni punti — la situazione è diventata drammatica. L’esodo dei migranti ormai coinvolge l’intera Europa, quanto accaduto in queste ultime due settimane ha dimostrato che non esistono « zone franche » . E dunque sta passando la linea di un’azione comune che possa essere davvero efficace.
Per questo alla fine si potrebbe decidere di non effettuare una divisione per «quote» da imporre a ogni Stato, ma di introdurre un sistema di conteggio rispetto agli arrivi che li metta tutti nelle stesse condizioni. Ed è proprio questo a rendere necessaria una misura deterrente rispetto a chi deciderà di non partecipare. Per evitare che l’intesa finale possa essere boicottata, i tecnici della Commissione propongono di prevedere un «opt out» iniziale. È la possibilità finora concessa soltanto a Regno Unito. Irlanda e Danimarca di non partecipare ai progetti comuni in materia di immigrazione. Dello stesso beneficio potranno godere altri governi, purché facciano la propria parte dal punto di vista economico.
Il principio che si vuole far passare è evidente: la permanenza nell’Unione prevede vantaggi ma anche oneri e dunque chi non si fa carico delle emergenze dal punto di vista pratico deve comunque accollarsi le spese. E poiché il conto rischia di essere molto salato, è probabile che alla fine saranno davvero pochi i Paesi che sceglieranno di chiamarsi fuori. Non a caso proprio in queste ore i parlamentari più rappresentativi stanno svolgendo opera di mediazione, come Gianni Pittella il presidente dei socialisti al Parlamento europeo che sta cercando di ricompattare il fronte socialista in vista del prossimo consiglio e domani mattina sarà a Parigi per un confronto con il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve.
Fondamentale è il sostegno da fornire a Juncker tenendo conto che il fronte del «no» continua a essere ampio. E infatti si sta rivalutando, con una propensione forte per il «sì», l’ipotesi di inserire l’Ungheria nell’elenco dei Paesi — che già comprende Italia e Francia — esonerati inizialmente dalla distribuzione dei profughi, nonostante la linea dura del premier Viktor Orbán. Anche tenendo conto che il numero di chi dovrà essere trasferito da uno Stato all’altro sarà certamente più alto dei 32 mila previsti finora.